Jerzy Skolimowski è uno degli autori più
sottovalutati dell’intero cinema polacco…e forse europeo. Nonostante figure
autorevoli come Andrej Waida, Roman Polanky e Krzysztof
Kieślowski siano gli autori più conosciuti a livello internazionale
(con pieno merito) in Polonia esiste una tradizione registica di assoluto
valore (che affonda le proprie radici non solo nel cinema ma anche nel teatro
con l’opera di Jerzy Grotowski) e il
regista di Eo ne è forse il rappresentante più significativo.
Eo narra le vicende di un asinello e del suo peregrinare in cerca (forse) della sua ex padrona.
Coinvolgente, affascinante, denso di interrogativi. Primo tra tutti: perché proprio un asino? E inoltre, qual’è la storia narrata attraverso le vicende di Eo? La figura dell’asino è divenuta nell’immaginario collettivo esempio di stupidità e scarsa intelligenza…un processo linguistico (e di conseguenza psichico) a cui non prestiamo quasi più attenzione. La prima considerazione è quindi di carattere generale…poi emergono chiavi di lettura di ordine formale: la prima è la dimensione del viaggio.
Il road movie è un topos narrativo centrale nel cinema americano non solo capace di fornire numerose pellicole di assoluto valore molto diverse tra loro (tra le più importanti ricordiamo Easy Rider - Dennis Hopper, 1969, Cuore selvaggio – David Lynch, 1990, Nomadland – Chloe Zhao, 2020 solo per citare i più famosi) capace di rappresentare, insieme al western, i grandi spazi della natura americana (per un approfondimento rimando al capitolo La Monument Valley e l’immagine mediatica de Lo specchio e il simulacro di Paolo Bertetto – Studi Bompiani, 2007).
Skolimowski sembra rifarsi a questa importante tradizione: il viaggio di Eo è caratterizzato da un dialogo tra primi (e primissimi) piani e campi lunghi, parabola che rappresenta la trasformazione ma questo non si applica al nostro protagonista: Eo è solo e la ricerca della sua padrona non lo condurrà ad alcuna emancipazione.
Il suo peregrinare nella Polonia rurale si carica di una latente tragicità fino a esplodere nell’epilogo…
Interiorità e solitudine … il destino degli emarginati.
Aver definito le caratteristiche generali dell’opera ci (ri)conduce alla domanda iniziale: perché proprio l’asino? Fin dai tempi di Au Hasard Balthazar di Robert Bresson (1966) questa figura si carica di una malinconia senza tempo e Skolimowski ci apre una dimensione in cui percepiamo ogni suo pensiero e ogni suo sentimento.
E’innegabile che Eo abbia uno sguardo sul mondo profondamente inquieto ma tale inquietudine nasce dalla riflessione sul significato stesso del termine umanità, non razza ma condizione vitale e questa è una riflessione che, gioco forza, non può essere gratuita e finisce con l’imbattersi in un nichilismo di fondo che oltrepassa il facile animalismo: nessuna emancipazione.
Eo è un’opera poetica come non se ne vedevano da anni, atto di resistenza non solo nei confronti di un mondo Cinico e spietato, ostile, dove l’innocenza può passare per ingenuità o come segno di debolezza, ma anche nei confronti delle piattaforme streaming e al loro universo audiovisivo standardizzatoSe l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram
Claudio Suriani Filmmaker