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martedì 28 febbraio 2023

MERCOLEDI' (2022) DI TIM BURTON - MERCOLEDI' NON E' QUI

Mi sono approcciato alla serie Mercoledì (produzione Netflix Original di Tim Burton, quale delle due anime vincerà alla fine?) con profondo sospetto in quanto la natura ipercommerciale della multinazionale americana influisce il più delle volte sulla qualità finale delle opere impedendo agli autori di sviluppare liberamente la propria estetica (con rarissime eccezioni come Roma - Alfonso Cuarón, 2018).

 

Per indagare il personaggio di Mercoledì Addams è necessario tornare gli albori di un universo molto più complesso rispetto alla narrazione che non nasce, come comunemente si crede, con la storica sitcom del 1964: in realtà i personaggi furono creati da Charles Chas Addams con le vignette pubblicate sul New Yorker alla fine degli anni 30. Erano prototipi capaci di aprire una breccia su un mondo lontano al tempo stesso dai classici dell’horror e dalla stucchevole commedia americana. 

 
 


Sorvolando sulle opere di animazione (del 2019 e del 2021 in cui si ripropone questa visione anestetizzata della paura) è con il film del 1991 che l’universo Addams arriva a un pieno compimento caricandosi di una profonda natura orrorifica del tutto parallela al lato comico che mai viene meno (nulla supera la gioia di fulminare un fratello sulla sedia elettrica o di una madre che insegna a usare il macete a una figlia piccola) per sfociare persino nella sequenza splatter più divertente della storia del cinema (la recita scolastica).

Il film di Barry Sonnenfeld riesce a fondere le due anime dell’universo Addams ed è qui che nasce la prima domanda: Mercoledì riesce a esprimere al meglio questo potenziale creativo? La mia risposta è no.



 

Paura e divertimento … ma non solo.

 

Charles Addams descrive con queste parole il personaggio di Mercoledì: è una bambina piena di tristezza, è esangue e delicata, con i capelli corvini e l'incarnato pallido della madre. Suscettibile e piuttosto tranquilla, ama le scampagnate e le gite alle caverne sotterranee che Morticia e Gomez organizzano spesso. È una bambina seria, compassata nel vestire e, nel complesso, un po' smarrita.

Se la Mercoledì interpretata da Christina Ricci conservava un’originaria austerità, Jenna Ortega carica il personaggio di una sottile ma evidente sensualità (evidente nella sequenza del ballo) allontanandosi dalle caratteristiche del personaggio originario.

La Mercoledì di Tim Burton è del tutto priva di quello smarrimento esistenziale di cui parla Chas Addams diventando la catalizzatrice e il punto focale attorno al quale ruotano le vicende.


 

Da un punto di vista narrativo Mercoledì ripropone il punto morto delle opere monografiche su singoli personaggi: esattamente come per Joker (Todd Phillips, 2019) notiamo come sia impossibile estraniare un personaggio dal contesto generale di riferimento. Se nel film di Todd Phillips il personaggio di Batman alimenta il sottotesto dell’opera in modo significativo, le vicende di Mercoledì sono alimentate dall’eterno ritorno in casa Addams.

I personaggi delle opere di fantasia (fumetti, film o serie televisive) sono inscindibili dal proprio ambiente di riferimento: se Dylan Dog sarà per sempre uno dei simboli di Londra, Divine (Harris Glenn Milstead) il simbolo della cultura drag-queen americana , Mercoledì è al tempo stesso, un personaggio carico di una forza rivoluzionaria e di una profonda malinconia con tendenze sadiche … aspetti che, nella serie di Tim Burton mancano quasi del tutto.

Mercoledì è una serie televisiva piacevole se si è a conoscenza delle varie sfumature dell’universo
Addams e, di conseguenza, si riesce a contestualizzare le scelte registiche, in caso contrario è 
un opera che rischia di allontanare gli spettatori (specialmente i più giovani) dalla gioiosa
cattiveria della nostra amata famiglia e, in un periodo storico saturo di politically correct,
porta con sé il rischio di un’ulteriore omologazione agli stereotipi di una produzione audiovisiva
non certo esaltante.
 
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venerdì 10 febbraio 2023

LA REGINA DI SCACCHI (2020) DI SCOTT FRANK - INDAGINE SUL CONTROLLO ASSOLUTO

Il panorama delle serie tv netflix original spesso propone titoli che, senza ambire allo status di capolavoro assoluto, si impongono come prodotti seriali di buona qualità gradevoli da vedere: La regina di scacchi ne è un perfetto esempio.

 

 

La trama è la seguente: Elisabeth (Beth) dopo la morte della madre verrà affidata a un collegio femminile; in questo centro scoprirà l’amore per gli scacchi grazie al custode (il signor Shaibel) della struttura e, grazie a ciò, riuscirà a riscattare la propria vita arrivando a vincere il titolo mondiale. Fin dal primo episodio riusciamo ad apprezzare diversi fattori: il primo è la forza di immedesimazione nei personaggi e in particolare nella protagonista in quanto sono ben delineati dal punto di vista psicologico senza arrivare mai a essere pedanti o prolissi. Se analizziamo il personaggio di Beth scopriamo una narrazione che non sfocia mai in situazioni cariche di pathos in cui la regia possa sovrastare il personaggio. Anche nelle vicende più dolorose (come la morte della madre adottiva di Beth) il racconto si sorregge su un equilibrio che ben rappresenta l’animo e la psiche della nostra protagonista.

Beth negli scacchi non trova semplicemente una passione ma il mezzo perfetto per elaborare i propri traumi e relegarli in una condizione di controllo assoluto. Ma accadono eventi in cui il controllo totale sulla propria vita sembra deteriorarsi, notevole incremento di complessità nelle pieghe narrative e quindi nel livello qualitativo dell’intero prodotto.

Negli ultimi episodi Beth ha una profonda crisi esistenziale che la porterà verso una breve deriva alcolista. E’un passaggio decisivo nella storia e ci si rammarica che non sia stato approfondito a dovere.

Le mini serie come La regina di scacchi se da un lato fuggono dal rischio di essere prolisse come può essere accaduto ad alcune antesignane (si pensi ad X-Files ) dall’altro hanno il dovere di delineare in modo efficace tutti gli elementi e le vicende dei protagonisti, specialmente i punti di rottura della narrazione. Se l’intero corpus degli episodi si regge sulla capacità degli scacchi di dare alla protagonista due qualità fondamentali per la sua emancipazione – l’autocontrollo da una parte e l’elaborazione del lutto dall’altra – è pur vero che un punto di rottura nella storia necessita di una descrizione approfondita degli effetti sulla protagonista e sul suo intero mondo: sarebbero bastati un paio di episodi in più per farci vivere a pieno questo passaggio decisivo.

 Se la crisi di Beth è uno dei punti deboli dell’intera storia, la sequenza del suo ritorno nel collegio rappresenta invece un punto di svolta efficace nell’animo della protagonista: scendendo nello scantinato dove giocava a scacchi con il signor Shaibel nota che quest’ultimo aveva conservato tutti gli articoli di giornale delle sue vittorie nei vari tornei nel mondo. In quel momento Beth si apre a un pianto catartico: per la prima volta il suo passato non le torna indietro come un trauma inelaborato (come la morte della madre biologica o l’abbandono del padre in tenera età) ma sotto forma d’amore nei confronti di una delle persone più importanti della sua vita.  Da questo evento liberatorio si dipaneranno nuove trame determinanti per la sua vita che la condurranno verso un finale narrativamente aperto.

 


Nonostante La regina di scacchi non sia un capolavoro in senso stretto in quanto non crea un’idea di narrazione televisiva (a differenza di Heimat o I segreti di Twin Peaks) una volta conclusa lascia la sensazione piacevole di aver visto un’opera di qualità capace di arricchire in modo discreto e pregevole.

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Claudio Suriani Filmmaker

BLACK MIRROR (2011 - 2019) DI CHARLIE BROOKER - IL TEMPO NEL RACCONTO DISTOPICO






Le radici di Black Mirror (da ora BM) dobbiamo andarle a cercare  nella cultura Cyberpunk, universo variegato capace di far emergere le maggiori paure legate all’influenza della tecnicologia nella contemporaneità. BM lavora sul parallelismo tra l’idea di un futuro distopico e la contemporaneità realizzando una dialettica interna tra le tecnologie digitali (dai social media alle nanotecnologie fino alla clonazione) fino alla  messa in scena dei propri dispositivi  (computer, tablet e smartphone).  In BM il concetto di verosimiglianza tra un futuro prossimo saturo di tecnologie tipiche della nostra quotidianità al punto da risultare delle vere e proprie protesi digitali emerge in modo evidente. Gli effetti di un mondo ipertecnologizzato non può non riversarsi sulle vicende politico/sociali arrivando al punto di trasformare il significato etimologico di alcuni termini chiave (si pensi a condividere). La perdita della forza messianica in carico alla tecnologia porta con sé un trauma di carattere storico creando un’inedita semantica di passato (un mondo in cui la tecnologia punta a fondersi con i meccanismi biologici e politico-sociali) e quello di futuro (un mondo ipertecnologizzato, distopico e dai caratteri inquietanti). Questa dialettica pone BM in una zona di confine legando i vari episodi all’idea stessa di memoria storica dei personaggi e delle comunità rappresentate. Le società descritte sono legate all’oggi attraverso un fuoricampo saturo di preoccupazione per gli effetti dello sviluppo tecnologico sulle dinamiche socio-politiche. Nonostante abbiamo visto come il racconto distopico sia animato dalla forza critica dello spettatore chiamandolo ad un ruolo attivo all’interno del testo è importante notare che tale capacità si manifesta nel suo esatto contrario nel momento in cui sono i protagonisti stessi ad assumere un ruolo decisivo per il racconto.  L’esito è che realtà e profilmico sono rispettivamente collegate all’attività critica e al sentimento perturbante (come nel finale dell’episodio Messaggio al primo ministro o come nel film Non lasciarmi di Mark Romanek). Oggi è sotto gli occhi di tutti il controllo capillare sull’individuo messo a disposizione dalle  tecnologie digitali e relativi occhi meccanici (basti pensare alla rilevazione gps dei nostri smartphone o ai logaritmi matematici che indirizzano le nostre attività online). BM nel prendere in carico il rapporto tra soggetto e tecnica manifesta la necessità di superare filoni ormai datati per porre al centro il linguaggio televisivo nell’era digitale e come ulteriore elemento d’indagine il rapporto tra reale e virtuale (basti pensare all’episodio Bandersnatch e alla sua natura interattiva). BM nel creare un ibrido tra fantascienza e contemporaneità costruisce un tempo nel quale possa convivere il plausibile accanto al perturbante verosimile. Se i processi della tecnica hanno sovrastato l’autodeterminazione dei soggetti anche nei processi neurologici di base (ad esempio nella memoria) ecco che la società distopica descritta non sembra, ahinoi, così lontana (si pensi anche all’importanza dei dati telematici e alla guerra commerciale per il loro controllo). BM riesce a stratificare ulteriormente la propria indagine arrivando a immaginare e prospettare tecnologie (come la riproduzione della coscienza dell’episodio Torna da me!). E’questo un ulteriore elemento che permette all’intero corpus degli episodi di ampliare la portata teorica arrivando a profilare l’idea di tecnologie digitali come evento storico nell’accezione di G. Deleuze…l’evento nel suo divenire sfugge alla storia. Il tempo in BM si materializza in opposizione al flusso evolutivo degli eventi narrati puntando alla ricerca dell’eternità come struttura temporale generatrice. Se seguiamo questa tesi, la tecnica non appare più come la tematica centrale dell’opera ma “solo” la chiave per analizzare una rappresentazione del tempo carica di forze traumatiche. Nucleo portante dell’intero corpus a questo punto è il trauma del passato che annulla l’evoluzione stessa della società in quanto il rapporto tra soggetto e il suo avatar digitale è un rapporto di solitudine e mai di scambio creativo capace di far emergere nuove idee o nuove visioni sul mondo. La tecnologia in BM si instaura in modalità diverse ed ognuna di queste è funzionale a delineare un rapporto specifico con il tempo. Considerato nel suo potere coercitivo economico e/o politico il tempo assume le sembianze di “eterno presente” spinto da una forza conservatrice mentre la tecnologia narrata in maniera neutra ne fa emergere un’idea in continuo progresso che ben rappresenta l’evolversi degli eventi storici nel profilmico e nel sottotesto. 

 

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Claudio Suriani Filmmaker

martedì 7 febbraio 2023

NON SIAMO PIU' VIVI (2022) - UN TEEN-HORROR DI CUI NON SI SENTIVA IL BISOGNO

E’ possibile sviluppare idee nuove attraverso una tematica ormai ben strutturata come l’universo zombie? E’ possibile creare non capolavori…ma opere che diano da pensare e che sviluppino un dibattito? L’ultima serie coreana prodotta da Netflix, Non siamo più vivi, ci dice purtroppo di no. Non siamo più vivi, basato sul manga All of Us Are Dead, racconta di un apocalisse zombie in una piccola città sudcoreana e le vicende di un gruppo di studenti braccati nella propria scuola e abbandonati a se stessi dalle istituzioni. Fin dai primi episodi ciò che appare chiaro è l’estrema ripetitività di tali tematiche (non solo all’interno della serie ma anche nell’intera tradizione audiovisiva sullo zombie); la soglia che divide vita e morte e il suo legame con la dimensione biologica è una tematica che si apre, potenzialmente, ad innumerevoli possibilità interpretative (come hanno dimostrato Robin Campillo prima e Fabrice Gobert rispettiva mente con The returned e Les Revenants); inoltre il suo essere rivolto ad un pubblico di adolescenti ha ulteriormente impoverito una tematica molto più complessa di come appare e dalla grande tradizione cinematografica (ricordiamo che il primo film zombie è del 1932 (L'isola degli zombies di Victor Halperin – 1932). La struttura narrativa presenta tematiche deboli e poco convincenti (come la creazione di un virus da parte di un professore di scienze, per permettere al proprio figlio di difendersi dai bulli della scuola) e  inoltre ciò che poteva rappresentare un attacco alle istituzioni sudcoreane (come la decisione di bombardare la città da cui nasce l’epidemia o quella di abbandonare i giovani protagonisti al loro destino) appaiono come scelte difficili da parte delle autorità ma in fondo giustificabili.

Tuttavia il punto più debole dell’intera serie è il rapporto tra l’orrore della violenza zombie e il mondo adolescenziale caratterizzato da topos narrativi ricorrenti (come gli innamoramenti o il pensare alle vicende scolastiche quando ormai la scuola e la propria città non esistono più).

Non siamo più vivi nel mettere in scena un teen-horror a tematica zombie cerca di conservare tratti di positività e di speranza per il futuro ed è qui che fallisce il proprio scopo: non può esserci lieto fine in un’apocalisse o in un bombardamento  a tappeto di una città perché i morti gridano giustizia (come il protagonista di La notte dei morti viventi) oppure ciò che può nascere dal terrore prima, e dall’orrore poi, è un futuro incerto carico di suspense e di incertezza (come nel finale di Gli uccelli - Alfred Hitchcock , 1963).

 

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Claudio Suriani Filmmaker

lunedì 12 dicembre 2022

CARNIVALE (2005) DI DANIEL KNAUF - Il teatro delle illusioni

Carnivale si è imposta negli ultimi anni come una delle serie tv più interessanti dal punto di vista stilistico; narra le vicende di un circo itinerante guidato da una misteriosa direzione attraverso la magica atmosfera degli Stati Uniti degli anni 30; anni in cui impazzava la magia del jazz, la fabbrica dei sogni di Hollywood insieme alla grande depressione e lo spettro della seconda guerra mondiale. 
 
 
 
La serie inizia con un prologo dal carattere biblico in cui la lotta tra bene e male per il controllo del mondo si impone come tematica centrale dell'intera opera; la struttura narrativa tuttavia appare molto più complessa rispetto ad una visione dualistica della storia in quanto la serie è caratterizzata da  una successione di personaggi secondari ricchi di fascino che sorreggono la struttura narrativa conferendole spessore. 
 
 

Come personaggio guida troviamo l’iconico Michael J. Anderson che tutti ricordano come il nano in Twin Peaks; quando un personaggio ha la forza di entrare nell’immaginario collettivo l’attore diviene un tutt’uno con il suo personaggio. Michael J. Anderson è diventato un'icona dei personaggi che vivono sulla soglia tra realtà e finzione (si pensi alla sua presenza in Mulholland Drive di David Lynch o nella serie cult di Chris Carter X-files); inoltre questo aspetto carica il personaggio di Samson di un valore universale: una sorta di novello Mosè alla guida di uno scalcinato gruppo di freaks (l'immaginario browningiano sconfigge per l'ennesima volta la censura storica). Tornando a Carnivale, l’intero corpus degli episodi è caratterizzato da un atmosfera carica di misticismo di stampo manicheo; aspetto che tuttavia si fonde con l’aria gioiosa di una fiera di paese e dei suoi fenomeni da baraccone (oltre al già citato Freaks di Tod Browning troviamo influenze anche da La fiera delle illusioni di Edmund Goulding del 1947).  
 

 
Un ulteriore elemento è la tematica del viaggio; il travel movie è un sottogenere cinematografico che ha dato vita a numerosi capolavori tra cui Nomadland (Chloè Zaho, 2020) Green Book (Peter Farrely, 2018), Cry Macho (Clint Eastwood, 2021), Interstellar (Christopher Nolan, 2013), Una storia vera (David Lynch, 1999), Sette anni in Tibet (Jean-Jacques Annaud, 1997), Viaggio a Kandahar (Mohsen Makhmalbaf, 2002) e Easy rider (Dennis Hopper, 1969). Carnivale si distacca dalle opere citate in quanto è il viaggio stesso ad essere il centro narrativo della serie; la direzione è il fondamento sulla quale si fonda l’intera opera proprio come, in X-files, la ricerca degli alieni e di Samantha Mulder resterà il fulcro narrativo della serie.  
 
Carnivale rappresenta un mondo carico di misticismo capace di privare l’essere umano della propria autodeterminazione; è, inoltre, una delle serie tv migliori degli ultimi anni e merita di essere posta all’attenzione di un pubblico sempre più vasto.
 
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Claudio Suriani Filmmaker















giovedì 24 novembre 2022

LES REVENANTS (2012 - 2015) di Fabrice Gobert. Il legame tra il tempo e il corpo.


  La serie televisiva Les Revenants di Fabrice Gobert è andata in onda per la prima volta in Francia nel 2004 sull’emittente privata Canal+; è una serie tv che si distacca in molti punti dall’immaginario zombie (come ad esempio da The Walking Dead) in quanto pone al centro la morte non come termine della vita (portando come conseguenza il disfacimento del corpo) ma come intervallo tra due esistenze. 


La storia è la seguente: dopo anni da un incidente stradale in cui morì un intera scolaresca (evento traumatico non solo per i singoli personaggi ma per un intera comunità) i defunti iniziano a tornare in modalità e tempi diversi con l’intenzione di riprendere le loro vite e i loro affetti più cari.  Il primo aspetto che appare decisivo nel suo discostarsi dall’immaginario zombie è dato dal corpo; i ritornati non sono caratterizzati dalla decomposizione in quanto mantengono intatte le proprie sembianze. Non importa quanto tempo sia passato; il trascorrere del tempo non intacca la loro carne in quanto sono al di fuori della concezione cronologica del tempo. Il secondo trauma che segnò la comunità è dato dalla rottura dell’enorme diga avvenuta trent’anni fa che, una volta ricostruita, segnerà la vita degli abitanti non solo attraverso la continua minaccia di una nuova catastrofe ma anche attraverso continui black out elettrici. I capolavori del cinema zombie hanno sempre portato avanti forti tematiche di denuncia sociale; se in La notte dei morti viventi (George Romero, 1968) emergono diverse tematiche ed interpretazioni tutte riconducibili alla politica razziale americana, in Les Revenants la presenza minacciosa della diga è un monito ad avere giustizia per le quattrocentoventuno vittime del disastro francese del 1959 (in Italia ricordiamo il disastro del Vajont del 1963). Appare chiaro come l’aspetto centrale della serie sia la morte nella sua declinazione temporale; se nella cultura occidentale la morte rappresenta il punto finale dell’esistenza, il ritorno da essa diviene il rovesciamento della forza accusatoria della storia nei confronti dei vivi. La morte non è più un evento del singolo ma diventa il ritratto di un epoca caratterizzata da grandi disastri mai elaborati. Fin dal film di George Romero la rappresentazione del non morto supera una scontata estetica horror per affrontare tematiche caratterizzanti della contemporaneità come l’entrata della tecnica nella vita biologica; percorsi biotecnologici che portano a pensare all’immortalità come qualcosa di non più così lontano da noi acquisendo risvolti profondamente perturbanti.

 

I revenant, hanno una duplice caratterizzazione: il soddisfacimento di alcuni bisogni primari (come cibo e rapporti sessuali) e una forte spinta etica: portare a compimento ciò che lasciarono incompiuto in vita a differenza dei vivi che non riescono a staccarsi da sentimenti dolorosi come il senso di colpa e la rassegnazione per non poter più cambiare le proprie vite. La tematica del tempo si imbatte in una sovversione della naturale capacità degli esseri umani di incidere nel mondo; secondo Carlo Rovelli Non c’è passato, non c’è presente, non c’è futuro. Il tempo è solo un modo per misurare il cambiamento. Una delle sovversioni naturali attorno alla quale ruota Les Revenants è l’incapacità dei vivi di incidere sugli eventi per creare cambiamenti di rotta decisivi alla narrazione (es: Thomas attraverso il suo lavoro di gendarme prova invano a difendere la frontiera dell’ordine naturale delle cose mentre Pierre non riesce ad imporre la sua delirante visione religiosa degli accadimenti se non attraverso un apocalittica convivenza tra vivi e morti) ma anche sulla natura ambigua di alcuni di loro (Serge divora le sue vittime incarnando una delle caratteristiche classiche dello zombie mentre Lena e Julie avendo avuto gravissimi incidenti in passato – Julie aggredita da Serge e Lena cadde dalle scale per mano del padre – vivono per l’intera serie nell’ambiguità sull’essere vive o morte). Il tempo nella narrazione di Les revenants non arriva mai a chiarire il suo effetto sugli eventi narrati e sui protagonisti mettendo in luce che i meccanismi che lo animano sono di carattere riflessivo: una sorta di trattato sulla perdita. Il mancato chiarimento dei meccanismi del tempo è animato anche dalla scelta di un piccolo centro montano in quanto l’immagine della città è da sempre caratterizzata da un forte movimento interno anche fin i più semplici come l’apertura e la chiusura dei negozi; il movimento interno della città è riconducibile a cambiamenti epocali poiché è proprio attraverso i dettagli che possiamo scoprire la caratteristiche di un processo di transizione. Il piccolo centro di montagna sembra invece andare in direzione contraria grazie a diversi fattori: il primo è il suo essere circondato non solo da grandi montagne ma anche da un manufatto dell’uomo (come una diga) in un’unione tra tecnica e ambiente che porta alla caratterizzazione sia del tempo della rappresentazione sia alla presenza di alcuni locali stereotipati come Lake Pub e American Diner aumentano la sensazione di un ambiente chiuso in se stesso in quanto o estranei al tema narrativo centrale (American Diner) o luoghi in cui gli eventi dei protagonisti non arrivano mai a una radicale inversione di rotta (Lake Pub). Il punto focale dell’intera struttura narrativa è il superamento di tematiche paranormali di ordine generico per essere ricondotta a tematiche nell’ambito del possibile come il dramma familiare (e comunitario) e l’elaborazione del lutto. Una delle peculiarità della serie di Fabrice Gobert è la capacità di superare l’antinomia sia del codice della realtà sia del codice dell’incongruo creando una struttura narrativa strettamente personale staccandosi anche da I segreti di Twin Peaks a cui spesso è stata accostata. 


Les Revenants nasce dal tema centrale di La Metamorfosi di Franz Kafka: nonostante siamo sicuri dell’avvenuta trasformazione di Gregor, ciò che ci cattura non è l’orrore della visione ma i drammi familiari dei protagonisti; drammi caratterizzati dal riemergere di un lutto mai del tutto elaborato. La caratteristica del tempo individuata in precedenza (il tempo legato da una natura strettamente biologica) si arricchisce di una nuova sfumatura; gli eventi sono mossi dalla ricerca di un peculiare percorso narrativo; se inoltre consideriamo l’idea di Slavoj Zizek del non-morto come fantasia fondamentale della cultura di massa contemporanea il tempo si arricchisce di un ulteriore peculiarità: la creazione dell’avatar come creatura simbolo della contemporaneità digitale. Quest’ultimo elemento, nonostante tenda a distaccarsi dalla tipologia classica delle creature di confine (vampiri, zombie, fantasmi) possiede, tuttavia, alcuni elementi della sua narrazione profondamente classica; l’elemento che analizzeremo è il ritorno alla propria terra. Un ulteriore elemento di analisi in Les Revenants è la casa: strumento di protezione nei confronti in primo luogo della Gendarmeria e in seguito dai revenant stessi. Entrambe le stagioni sono animate da una forza che tende a dividere le due comunità creando una tensione basata sulla resistenza al cambiamento strutturale del canone del genere zombie ed in seguito la stessa struttura temporale del testo. Nella seconda serie la struttura narrativa di Les Revenants acquista ulteriori elementi proprio legati al significato della casa: attraverso il personaggio di Serge indagheremo una tematica che ci aiuterà a chiudere il cerchio della nostra riflessione: il legame tra vittima e carnefice. Abbiamo visto come tra i protagonisti ce ne siano alcuni dalla natura non definita (Lena, Joulie e Adele); a loro si aggiunge il personaggio di Serge che fin dall’episodio pilota acquista caratteristiche classiche del non/morto

 

Nell’episodio Mme Costa accade un evento che segna un profondo cambio di rotta nella figura stessa del revenant e del loro ritorno nell’universo dei vivi: in casa di Serge e Toni arrivano le vittime di Serge e resteranno come una presenza silenziosa ma profondamente inquietante. Avendo appurato come il revenant torna nel mondo dei vivi per concludere il proprio scopo della vita terrena e di come la natura stessa del personaggio influenza gli eventi del proprio luogo di riferimento, la casa di Tony e Serge assume una natura perturbante in quanto luogo di confine tra due mondi rappresentati arrivando a sovrapporsi; il loro silenzio determina non solo che i morti sono ormai tra i vivi e non se ne andranno per mano loro ma soprattutto la venuta meno del linguaggio come creatore di spazi e di storie. Nel momento in cui la casa diviene uno spazio abitato esclusivamente dai revenant il tempo prevarica la struttura narrativa creando un corto circuito ormai irreversibile; queste donne sembrano non avere altro scopo che spingere Serge ad una elaborazione delle proprie azioni in vita; elaborazione che tuttavia non arriverà mai ad una svolta decisiva creando una dimensione temporale tipica degli spazi di confine in cui non esiste più ne un passato da elaborare (queste donne non rivendicano nulla) ne un futuro nella sua natura di autodeterminazione (queste donne a differenza degli altri revenant non solo non parlano ma non hanno nessuno scopo apparente) vivendo in un continuo istante presente e riaffermando il limbo dantesco come topos narrativo degli spazi di confine.

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Claudio Suriani Filmmaker 







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