Uno dei tratti caratteristici del film di M. Haneke è la deflagrazione della retorica sull'arte come mezzo di emancipazione; la grande tradizione classica legata al pianoforte non basta ad Erika a trasformare i propri traumi e le frustrazioni della sua vita in ambito sociale e famigliare. L'uscita dai meccanismi demagogici del lieto fine permette a La pianista di indagare quella parte dell'animo umano inconfessabile e profondamente solitaria. La pianista è, al tempo stesso, un gioco al massacro e un incredibile esercizio di stile: il connubio tra due elementi apparentemente opposti sta in una messa in scena classica e priva di scelte stilistiche forzate. Haneke con La pianista sviluppa ulteriormente un idea già incontrata in Funny Game (1997): tutto ruota intorno all'animo tormentato dei personaggi che sono, al tempo stesso, vittime e carnefici di loro stessi.
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