Un
autore cinematografico si differenzia dalla figura del regista
mestierante grazie alla presenza di un estetica riconoscibile capace
di influenzare in modo decisivo la storia del cinema e l’immaginario
visivo; tuttavia, quando ci si affida a clishè
di genere stereotipati con l’intento di realizzare il
film che tutti si aspettano
ecco che nasce opere come Occhiali
neri.
Per chi ama il
cinema e cerca di approfondirlo con un occhio critico capace di
oltrepassare il mero giudizio di gusto Occhiali
neri non può che
rappresentare un profondo dolore; dolore nel vedere un regista
dell’importanza di Dario Argento ormai stanco, privo di ogni
desiderio creativo e capace di affidarsi a sentieri già percorsi
allo scopo di portare a
casa il risultato.
Occhiali neri
è del tutto privo di una struttura narrativa credibile e ci presenta
personaggi sprovvisti della più minima caratterizzazione
psicologica; se consideriamo il personaggio del serial killer
(elemento cardine in ogni thriller che si rispetti) Dario Argento
non ci fornisce alcun elemento né di carattere psicologico né di
carattere storico/sociale (a differenza di opere cult come Non
aprite quella porta,
Il silenzio degli
innocenti, Psycho
e Halloween
o opere contemporanee come La
casa di Jack, The
gangster, the cop, the devil,
Lady vendetta,
Seven
o Saw; l’enigmista).
Il cinema horror senza una sceneggiatura accurata rivolta ad un
indagine dell’animo dei protagonisti non solo risulta stucchevole
ma rischia persino di cadere nel ridicolo; quando emerge il movente
da parte dell’assassino non solo non ho potuto fare a meno di
ridere ma mi sono interrogato sul perché
proseguire nella visione.
Tuttavia l’approssimazione non riguarda solo la scrittura: il film
è caratterizzato da una messa in scena del tutto insignificante,
sequenze di dubbio gusto con dialoghi approssimativi con, per di più,
grossolani errori di regia (come lo scavalcamento
di campo nella sequenza della morte
della poliziotta). Se è vero che ogni opera una volta conclusa vive
di vita propria è anche vero che, proprio per tale peculiarità, non
solo dialoga apertamente con i capolavori del genere che porta avanti
ma si inserisce nel contesto storico/sociale in cui viene prodotta;
se film come Non aprite
quella porta o Psycho
rappresentano appieno
la morte del sogno americano data dallo scandalo Watergate
e la nascita
dell’orrore viscerale a causa della scoperta del caso di Ed
Gein, un film come
Occhiali neri
si inserisce in un contesto come quello italiano del tutto privo di
eventi di rottura di tale portata ed è anche per questo che presto
cadrà nel dimenticatoio insieme a quasi la totalità delle produzioni RAI
CINEMA.
Un ulteriore elemento che caratterizza il film è un
citazionismo del tutto puerile che va da L’eclisse
(Michelangelo Antonioni, 1962) a Il
gatto a nove code
dello stesso Dario Argento (1971); se nel capolavoro di Antonioni
l’eclisse si manifestava come l’eclisse
dei sentimenti e di
una disumanizzazione dei rapporti umani in una società che si
avviava verso il boom economico, la sequenza iniziale di Occhiali
neri, in cui c’è
una vera eclissi, non solo appare scollegata con il resto delle
vicende narrate ma riesce a dare all’intera opera un profondo senso
di pretenziosità in quanto questa chiave interpretativa non viene
minimamente approfondita. Occhiali
neri è un film del
tutto evitabile perché getta fango sulla carriera di un autore
importante del nostro cinema e impedisce al cinema
indipendente di imporsi come alternativa al cinema meainstream.
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Claudio Suriani Filmmaker
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