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Elenco blog personale
domenica 3 dicembre 2023
DEMONS " DEMONOLOGY - I CAPOLAVORI DEL GARAGEPUNK
giovedì 30 novembre 2023
LA MUSICA Di CINEPEEP: THE OLD FIRM CASUALS - IGNORANT ONES
THE OLD FIRM CASUALS - "Ignorant Ones"
tratto dall'album " For The Love Of It All..."
Il progetto SkinHead di Lars Frederiksen dei Rancid
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martedì 13 dicembre 2022
COFFE AND CIGARETTES (2003) DI JIM JARMUSH - Il jukebox di Tesla
Louie louie che suona nei titoli di testa (e anche in quelli di coda, ma ne parleremo) già di per sé apre l'immaginario estetico dell'opera di Jarmusch.
E Iggy Pop con gli Stooges sono i protagonisti anche dell'episodio con Jack e Meg White (gli White Stripes): dal jukebox arriva sparato tutto l'inizio di Down on the street, primo pezzo di Funhouse, secondo album dei Stooges, in pratica: l'invenzione del punk! Jack spiega ed espone a Meg, la bobina di Tesla, un trasformatore ad alta tensione che può generare dei fulmini, che è sempre una questione di elettricità (visiva, musicale, tecnica) e mi viene in mente un' intervista a Grandmaster Flash in cui diceva che da piccolo era attratto da tutte le cose elettriche, tutto ciò che si poteva attaccare ad una presa: dj, chitarristi, musicisti…che forse alla fine fanno musica solo per sentire e produrre elettricità. Chissà se anche Tommy James and the Shondells la rifacevano Louie Louie…qui sono presenti invece con Crimson and Clover del '68, uno dei brani classici dei Sixties, anche questa stra-coverizzata in Italia e Soli si muore di Patrick Samson, forse una scelta troppo scontata da parte di Jarmusch. I legami nel film ci sono sempre, la discussione sull'appropriazione delle
E con questo il cerchio si chiude.
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Massimo Fiore
BROKEN FLOWERS (2005) DI JIM JARMUSH
Uno dei meriti della colonna sonora di Broken Flowers di Jarmusch è aver riportato in auge una certa scena musicale etiope, ovvero il glorioso Ethio Jazz già tanto celebrato qualche anno prima dalle raccolte Ethiopique. Ma non è solo questo...e come potrebbe esserlo per una pellicola ambientata nella più profonda provincia americana?
Poi c’è la bellissima cover in acido di Ethanopium, dei Dengue Fever…
Queste musiche accompagnano Don (apatico, silenzioso e scettico) lungo il suo viaggio nelle contraddizioni americane e più che stare nel caos delle autostrade sembra invece di essere in un fumoso club jazz.
Ma come dicevo, nella colonna sonora c’è tanto altro.
Nel lavoro complesso di assemblare pezzi di vari artisti nella stessa colonna sonora, credo che in Broken Flowers siano state fatte scelte azzeccate, non scontate.
Gli accostamenti tra i pezzi scelti e le varie scene confermano la competenza e la passione del regista verso musicisti anche non allineati (come per esempio l’azzardo Sleep). Ed anche solo per questo verso Jarmusch non si può che avere massimo rispetto.
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Massimo Fiore
domenica 4 dicembre 2022
24 HOUR PARTY PEOPLE (2002) DI MICHAEL WINTERBOTTON) - La scelta di Tony
Siamo quasi all'esplosione del punk, la ventata fresca che porta queste nuove band è un toccasana per i giovani inglesi stanchi di suoni triti e ritriti, dei lunghi tecnicismi, dei pantaloni a zampa, di capelloni e barbe lunghe. Arrivano i punks che riportano tutto all'essenziale e al minimo impegno nel saper e nel voler suonare... e tutto cambia. Non voglio fare il radicale come Tim Warren che sostiene che il r'n'r è morto nel '67 ucciso da Sgt.Pepper's, lo so, che il punk c'era già negli Stati Uniti, lo so delle garage band americane, dei Stooges e degli MC5, dei Velvet Underground e dei New York Dolls, dei Ramones e delle altre band newyorkesi del giro CBGB's e Max's Kansas City, ma è in Inghilterra che nascono le prime fanzines, nasce un (non) movimento e persino un modo di ballare. Nella colonna sonora del film sono presenti appena tre classici del primo punk inglese, ci sono naturalmente i Sex Pistols con Anarchy in the Uk, ci sono i Clash con Janie Jones e i Buzzcocks (prima band punk di Manchester) con Ever fallen in love (with someone you shouldn't've) tutte band che Tony Wilson passa nel suo programma musicale televisivo.
Martin Hannett morirà di infarto a soli 42 anni il 18 aprile del 1991 e la Factory chiuderà per fallimento nel 1992. E proprio in quegli anni inizierà in Inghilterra quel mega imbroglio del Britpop.
Ma si può dire che la popular music alla fine è sempre stata tutta una grande truffa e i Sex Pistols lo avevano capito bene.
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sabato 3 dicembre 2022
PILLOLE DI CINEMA - HEIMA; SIGUR ROS - Dalla meravigliosa terra d'Islanda
venerdì 25 novembre 2022
ELVIS (2022) DI BAZ LUHRMANN - La società dello spettacolo
Per analizzare un personaggio complesso come Elvis Presley attraverso l’occhio di Baz Luhrmann, regista conosciuto per il suo stile barocco al limite del ridondante, ritengo necessario partire da un presupposto di ordine generale: parlare di Elvis Presley vuol dire parlare del XX secolo e di quell’America che ormai aveva lasciato alle proprie spalle il secondo conflitto mondiale ma che si ritrovò a combattere contro il nemico interno della segregazione razziale.
Gli anni 50 furono un periodo storico ricco di contraddizioni ma anche saturo di una forza creativa i cui frutti si sentono ancora oggi in tutto il mondo. Tuttavia l’opera di Luhrmann ci descrive ciò che Guy Debord definì La società dello spettacolo. Ricorro alle linee guida di quest’importantissima opera filosofia in quanto la sua parabola rappresenta in modo determinante quel processo di mercificazione tipico della società contemporanea che ha come unico scopo la propria autolegittimazione.
Elvis è un film in linea con lo stile registico di Luhrmann: fin dall’inizio cogliamo il filo rosso che lo collega a pellicole come Romeo + Giulietta di William Shakespeare (1996), Moulin Rouge! (2001) o Il grande Gatsby (2013) tuttavia, andando oltre l’analisi delle scelte formali di messa in scena, emergono diversi elementi dell’opera di Debord come la separazione delle immagini dalla vita, concetto presente nel capitolo La divisione perfetta. Quando Debord afferma che Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un'immensa accumulazione di spettacoli non solo chiarisce quanto dietro fenomeni della portata di Elvis Presley ci siano strutture economico-produttive capaci di sovrastare la forza creativa dell’artista di Menphis, ma arriva a definire i processi di autolegittimazione del mondo dello spettacolo capaci di influenzare la nostra più stretta vita politica ( e in Italia gli esempi non mancano…).
Il film sembra essere consapevole di tutto ciò in quanto cerca di andare oltre il seminato della narrazione classica; tuttavia dal punto di vista formale la tendenza ad aggiungere anziché ridurre fa correre al regista rischi di ordine strutturale e il più evidente è il ricalcare eccessivamente eventi trascurabili. Nella sequenza della prima esibizione di Elvis il pubblico femminile ha una reazione di eccitazione al limite dell’isterismo (in rete si trova la registrazione originale del concerto) che non può che strappare una risata allo spettatore. Nel momento in cui Debord afferma che lo spettacolo è una visione del mondo che si è oggettivata, sia la musica che il cinema smettono di parlarci del mondo e di farci aprire ad esso, per costruire un meccanismo autoreferenziale in cui emergono in modo decisivo i dettami del sistema economico capitalista. Questo aspetto coglie in pieno la parabola di Elvis Presley che da autentico animale da palcoscenico diventò prima un mediocre attore hollywoodiamo per finire nella lunghissima serie di esibizioni all’l' International Hotel di Las Vegas. Lo spettacolo diventa, al tempo stesso, il mezzo e il fine di se stesso. Una prima obiezione che si potrebbe portare è che il film di Luhrmann ci mostra non solo la forza creativa di Elvis ma anche il suo declino come artista e come uomo. Anche in questo caso ci viene incontro Debord ponendo al centro il concetto di feticismo della merce: in ogni forma espressiva il messaggio portante cambia attraverso il sistema economico sul quale è basata l’intera società che lo produce arrivando, nel capitalismo ad un feticcio.
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Claudio Suriani Filmmaker
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