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martedì 28 febbraio 2023

MERCOLEDI' (2022) DI TIM BURTON - MERCOLEDI' NON E' QUI

Mi sono approcciato alla serie Mercoledì (produzione Netflix Original di Tim Burton, quale delle due anime vincerà alla fine?) con profondo sospetto in quanto la natura ipercommerciale della multinazionale americana influisce il più delle volte sulla qualità finale delle opere impedendo agli autori di sviluppare liberamente la propria estetica (con rarissime eccezioni come Roma - Alfonso Cuarón, 2018).

 

 

Per indagare il personaggio di Mercoledì Addams è necessario tornare gli albori di un universo molto più complesso rispetto alla narrazione che non nasce, come comunemente si crede, con la storica sitcom del 1964: in realtà i personaggi furono creati da Charles Chas Addams con le vignette pubblicate sul New Yorker alla fine degli anni 30. Erano prototipi capaci di aprire una breccia su un mondo lontano al tempo stesso dai classici dell’horror e dalla stucchevole commedia americana. 

 
 


Sorvolando sulle opere di animazione (del 2019 e del 2021 in cui si ripropone questa visione anestetizzata della paura) è con il film del 1991 che l’universo Addams arriva a un pieno compimento caricandosi di una profonda natura orrorifica del tutto parallela al lato comico che mai viene meno (nulla supera la gioia di fulminare un fratello sulla sedia elettrica o di una madre che insegna a usare il macete a una figlia piccola) per sfociare persino nella sequenza splatter più divertente della storia del cinema (la recita scolastica).

Il film di Barry Sonnenfeld riesce a fondere le due anime dell’universo Addams ed è qui che nasce la prima domanda: Mercoledì riesce a esprimere al meglio questo potenziale creativo? La mia risposta è no.



 

Paura e divertimento … ma non solo.

 

Charles Addams descrive con queste parole il personaggio di Mercoledì: è una bambina piena di tristezza, è esangue e delicata, con i capelli corvini e l'incarnato pallido della madre. Suscettibile e piuttosto tranquilla, ama le scampagnate e le gite alle caverne sotterranee che Morticia e Gomez organizzano spesso. È una bambina seria, compassata nel vestire e, nel complesso, un po' smarrita.

Se la Mercoledì interpretata da Christina Ricci conservava un’originaria austerità, Jenna Ortega carica il personaggio di una sottile ma evidente sensualità (evidente nella sequenza del ballo) allontanandosi dalle caratteristiche del personaggio originario.

La Mercoledì di Tim Burton è del tutto priva di quello smarrimento esistenziale di cui parla Chas Addams diventando la catalizzatrice e il punto focale attorno al quale ruotano le vicende.


 

Da un punto di vista narrativo Mercoledì ripropone il punto morto delle opere monografiche su singoli personaggi: esattamente come per Joker (Todd Phillips, 2019) notiamo come sia impossibile estraniare un personaggio dal contesto generale di riferimento. Se nel film di Todd Phillips il personaggio di Batman alimenta il sottotesto dell’opera in modo significativo, le vicende di Mercoledì sono alimentate dall’eterno ritorno in casa Addams.

I personaggi delle opere di fantasia (fumetti, film o serie televisive) sono inscindibili dal proprio ambiente di riferimento: se Dylan Dog sarà per sempre uno dei simboli di Londra, Divine (Harris Glenn Milstead) il simbolo della cultura drag-queen americana , Mercoledì è al tempo stesso, un personaggio carico di una forza rivoluzionaria e di una profonda malinconia con tendenze sadiche … aspetti che, nella serie di Tim Burton mancano quasi del tutto.

Mercoledì è una serie televisiva piacevole se si è a conoscenza delle varie sfumature dell’universo
Addams e, di conseguenza, si riesce a contestualizzare le scelte registiche, in caso contrario è 
un opera che rischia di allontanare gli spettatori (specialmente i più giovani) dalla gioiosa
cattiveria della nostra amata famiglia e, in un periodo storico saturo di politically correct,
porta con sé il rischio di un’ulteriore omologazione agli stereotipi di una produzione audiovisiva
non certo esaltante.
 
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martedì 14 febbraio 2023

THE NORTHMAN (2022) DI ROBERT EGGERS - LE ORIGINI DEL REVENGE-MOVIE

 La storia della letteratura ci ha consegnato le vicende di Amleto come un’opera originale, quindi ben pochi sanno che il drammaturgo inglese scrisse la sua opera più famosa ispirandosi direttamente allo scrittore danese Saxo Grammaticus e alla sua antologica Gesta Danorum, opera fondamentale della letteratura nordica e di notevole  ispirazione per la drammaturgia che ne seguì.

 

 

The northman nasce da questo oblio storico. Nel nuovo film di Robert Eggers la cultura nordica si impone in maniera decisiva come a voler riaffermare la vera natura delle vicende di Amleto inteso come topos narrativo e, in seguito, del genere revenge movie. Robert Eggers, dopo un esordio più che convincente come The witch e il capolavoro espressionista The Lighthouse, approda al cinema epico in cui lo schema della vendetta si fonde attraverso la mitologia vichinga. La trama è la seguente: D.C. E Hrafnset, figlio del re Aurvandil, assiste all’omicidio del padre da parte di suo fratello Fjölnir; l’intero film è basato sul desiderio di Hrafnset di vendicare la morte del padre e salvare la madre dalla violenza dello zio. La struttura narrativa è basata sul culto di Odino (come il rituale dei cani che vogliono diventare uomini) e dal culto della fisicità vichinga in cui la brutalità delle sequenze di lotta e il rapporto tra riti di ascensa all’età adulta del protagonista creano un racconto filmico affascinante e carico di pathos.  

 


The northman abbandona l’approccio espressionista di The Lighthouse a favore di un cinema narrativo sulla falsa riga di The Witch, ma sembra calcare la mano su un senso di virilità vichinga che, alla lunga, risulta essere ridondante e strizzare l’occhio agli amanti del cinema epico blockbuster come Il signore degli anelli (Peter Jackson, 2001), La bussola d’oro (Chris Weitz , 2007) o Le Crociate (Ridley Scott, 2005)  perdendo la natura autoriale ben delineata nelle sue prime due opere. Questa caratteristica può non essere considerata un difetto strutturale ma di certo risulta essere un profondo cambio di prospettiva. Eggers per la prima volta guarda al grande pubblico costruendo un’opera lineare priva di sottotesti e l’aver avuto a disposizione un budget incredibilmente più alto rispetto al passato (che oscillava tra i 75 e i 90 milioni di dollari) gli ha permesso di costruire un impianto visivo efficace ma non caratterizzante.

 


La struttura narrativa del film è lineare e riconoscibile, può sembrare un passo indietro nel lavoro di un autore che si stava imponendo nel panorama del cinema mondiale come un punto di incontro tra W. Herzog, Lars Von Trier e l’intero universo del folk horror.  The northman Eggers  invece a mio avviso si apre in modo magistrale a un sottogenere come il revenge-movie che ha dato vita a capolavori del cinema d’autore e del cinema d’exploitation e come La fontana della vergine ( Ingmar Bergman, 1960), Cane di paglia (Sam Peckinpah, 1971), Non violentate Jennifer (I Spit on Your Grave) (1978) di Meir Zarchi, L'angelo della vendetta (Abel Ferrara, 1981), Mr. Vendetta (Park Chan-Wook, 2002). Il mio consiglio è di vedere l’intera filmografia dell’autore americano per poterne apprezzare la duttilità e la capacità di aprirsi a diverse tipologie narrative sempre con ottimi risultati. 

 

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Claudio Suriani Filmmaker

lunedì 13 febbraio 2023

ULTIMA NOTTE A SOHO (2021) DI EDGAR WRIGHT - LEGAME TRA SOGNO E REALTA'

In Ultima notte a Soho (2021) Edgar Wright lavora sull’universo sixties mirando  a far riemergere l’anima di un decennio che tanto ha dato alla cultura giovanile attraverso scelte di messa in scena e tematiche tipiche del cinema classico americano.  

 



Ultima notte a Soho è un’opera costruita sul rapporto tra sogno e realtà, caratteristica non solo dell’immagine filmica in sé ma anche di molte pellicole classiche e contemporanee, L’arte del sogno (Michel Gondry, 2016), Eyes Wide Shut (Stanley Kubrick, 1999), Inception (Christofer Nolan, 2010), Io ti Salverò (Alfred Hitchcock, 1945) Sogni (Akira Kurosawa, 1990) e molte altre. Nonostante la dimensione onirica faccia parte dell’intima natura del cinema, Edgar Wright la inserisce in un contesto più ampio arrivando a toccare il cinema di Bob Fosse e il suo amore per il musical. L’Inghilterra degli anni 60 era un paese in cui la tradizione musicale  e i  movimenti giovanili erano tali da influenzare ancora oggi la cultura pop contemporanea - dalla beat generation, il movimento mod, i Teddy Boys fino al british-rock, con un impatto su ogni forma di comunicazione come l’editoria e la moda intese come mezzo espressivo e di appartenenza. In Ultima notte a Soho il concetto di moda è inserito in una rappresentazione del sogno efficace ma  non innovativa; possiamo cogliere il gusto per l’estetica retrò non solo a livello tematico ma anche nelle scelte formali: la fotografia gioca sullo scontro tra una realtà cupa e opprimente (dai colori scuri e decadenti) a una dimensione onirica caratterizzata dai colori vivi e spettacolari che tendono  a sparire quando il sogno si trasforma in incubo. 

 

Le inquadrature e i movimenti di macchina rimandano a un immaginario horror-thriller di stampo classico influenzato da opere come La scala a chiocciola (Robert Siodmak, 1945), Vertigine (Otto Preminger, 1944) o Repulsione (Roman Polanski, 1965). Questo eccesso nostalgico mette in secondo piano una delle tematiche che potevano essere sviluppate in modo personale: la rappresentazione del quartiere di Soho e della sua storia. Ultima notte a Soho è un’opera che cerca di nascondere attraverso una messa in scena spettacolare non solo una proposta tematica ormai datata che ha rappresentato le basi per gran parte del cinema americano (autoriale e di genere) del secondo dopo guerra, ma pone allo spettatore un contrasto evidente tra forma e sostanza, contrasto che tende a ripresentarsi spesso negli ultimi anni specialmente nel cinema mainstream.

 

La mia conclusione è che se lo spettatore si rapporta a questo film come opera di puro intrattenimento riesce ad esserne coinvolto, ma se Wright mira a un posto di rilevo nel panorama cinematografico contemporaneo fallisce nel suo scopo: l’eccessiva nostalgia per la cultura sixties rende il film incapace di aprire nuove strade espressive oltre a manifestare limiti evidenti nella delineazione dei personaggi e nel distacco da un universo cinematografico ormai del tutto storicizzato.

 

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Claudio Suriani Filmmaker

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