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domenica 3 dicembre 2023

IL FILM DEL GIORNO - KUSO: ESPERIMENTI DI CINEMA DADAISTA (UN FILM DI FLYING LOTUS)

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giovedì 4 maggio 2023

SKINAMARINK (2022) DI KYLE EDWARD BALL - AI CONFINI DEL CINEMA

 

Nella storia del cinema un sentimento arcaico come la paura nasce dalla perdita di un orizzonte visivo riconoscibile ed elaborabile e sono pochi gli autori che nell’arco degli anni hanno saputo intraprendere un vero percorso di ricerca rivolto al terrore nella sua forma più pura.

Il cinema americano nasce da un profondo dualismo strutturale: una forte componente industriale (tipica del mondo hollywoodiano) che nel corso della sua storia ha influito fortemente sulle opere  dal punto di vista formale e narrativo (con importanti eccezioni) e un universo autoriale al di fuori degli onori hollywoodiani capace di portare avanti nuove forme espressive e, nel caso del cinema horror, di tornare a una componente arcaica del terrore rifiutando il facile orrore che ad oggi non ha più nulla da dire.

Skinamarink (2022) del regista canadese Kyle Edward Ball (ad esordio su lungometraggio) si è imposto come un’opera seminale per quella folta schiera di cineasti che, nell’epoca delle piattaforme streaming, cercano nel puro atto di filmare un’importante chiave espressiva.

 

 

Il film narra le vicende dei piccoli Kevin e Kaylee: una notte si svegliano e si accorgono che i genitori e le finestre di casa sono scomparsi … a dominare sono l’oscurità, schermi televisivi privi di segnale e un perenne stato di attesa. La nostra casa, luogo familiare per antonomasia, diventa il simbolo di un universo perturbante in cui la paura arcaica del buio è il fulcro narrativo intorno al quale ruota l’intera opera.

Secondo Schelling E’ detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare […] segreto, nascosto, e che è invece affiorato (Schelling, Filosofia della mitologia) e per Freud Il perturbante è quella sorta di spavento che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare (Sigmund Freud, Il perturbante, 1919). Seguendo questa linea interpretativa osserviamo in Skinamarink un doppio processo perturbante: alla perdita di familiarità della casa si unisce un’estetica che nulla ha a che fare con il cinema horror mainstream. Se consideriamo film come La casa (Sam Raimi, 1981) o Non aprite quella porta (Tobe Hooper, 1974) opere cardine in cui è lo spazio abitativo a essere il fulcro narrativo notiamo un orrore manifesto e non un terrore atavico indotto da un perenne stato di attesa .. è come se Kyle Edward Ball avesse voluto realizzare la versione cinematografica di Aspettando Godot (Samuel Beckett, 1948-1849) caricandola di un’oscurità talmente pervasiva da ricordare la casa di Diane in Mulholland Drive (David Lynch, 2001) e… ancora lo spazio abitativo ritorna. 

 


 

Skinamarink è un’opera che affonda le proprie radici nel cinema underground di Cassandra Stark, nella forza sperimentale di Andy Wharol fino ai primi passi dell’horror found footage (come The Blair Witch Project di Daniel Myrick e Eduardo Sánchez- del 1999 - opera seminale che diede vita alla saga di Paranormal Activity). E’ una premessa determinante per leggere i meccanismi interni di un’opera tanto affascinante quanto complessa: l’orrore, nel momento stesso in cui si manifesta, perde la sua forza creativa mentre il terrore nasce da istanti, brevi battute o semplici inquadrature capaci di far emergere l’idea che anima l’opera in questione ( come lo sguardo in macchina di Lars Thorwald in Real windows (La finestra sul cortile - Alfred Hitchcock, 1954). Allora l’idea che anima Skinamarink è la fusione tra uomo e fantasma. Il fantasma nelle arti visive è il simulacro, un prodotto che vive attraverso la sua assenza … quale arte se non il cinema lo può quindi rappresentare al meglio?


 

 Skinamarink è priva di primi (o primissimi) piani dei giovani protagonisti in quanto il primo piano definisce sia la psicologia che la fisicità dei personaggi ... determinano il loro essere qui e ora. Poi  c’è un secondo aspetto che amplifica la portata del fuori campo: lo schermo televisivo privo di segnale e/o non a fuoco in quanto l’assenza di un soggetto catalizzatore delle vicende priva i dispositivi del loro valore comunicativo.

Per concludere ritengo sia importante sottolineare quanto un’opera come Skinamarink rappresenti  la volontà di un giovane autore di sperimentare nuove strade espressive … un atto di rivincita contro l’omologazione delle piattaforme streaming e la perdita della memoria di cos’è il cinema e delle sue radici tecnico-espressive.

 

 

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 Claudio Suriani Filmmaker


Claudio Suriani Filmmaker

mercoledì 8 febbraio 2023

THE KIDS (1995) DI LARRY CLARKE - UN FILM INVECCHIATO MALE

Entrai in contatto con The Kids molti anni fa e già allora lo reputai un film mediocre.

Nonostante sia un amante della cultura underground (cinematografica e musicale) fin dalla prima visione del film di  Lerry Clarke non riuscivo a entrare in empatia con i giovani protagonisti e con le loro (non) avventure totalmente prive d’interesse per me. Il sesso, la droga e la violenza, che a detta della critica meainstream dovrebbero rappresentare la vita giovanile delle periferie americane,  per l’intera durata del film non si ergono mai a un potere rappresentativo di una generazione o di uno spaccato sociale.

 

Siamo agli inizi degli anni novanta e nei bassifondi americani imperversa la rivoluzione del Punk Hardcore (svolta stilistica del punk rock che portò il genere verso un’estremizzazione delle tematiche e delle sonorità) mentre a livello cinematografico gli autori nati in contesti d’avanguardia riuscivano a imporsi al grande pubblico conservando  tuttavia una forte marca autoriale (si pensi al successo televisivo di David Lynch con Twin Peaks, Jim Jarmush con opere come Stranger Than Paradise (1984) e Down By Law, Abel Ferrara con Il cattivo tenente (1992), The Addiction (1995) ma anche la visionarietà dei primi successi di Tim Burton come Edward mani di forbice (1990), Sleepy Hollow (1999) e la nascita del fenomeno Quentin Tarantino. Il contesto culturale americano anni novanta conservava le linee guida dei protagonisti della scena culturale aprendosi tuttavia a un pubblico sempre più ampio attraverso diversi approcci all’arte di riferimento. In The Kids ciò che appare eloquente è che lo stesso Larry Clarke dimostra non solo di ignorare il mondo giovanile ma di averne una profonda disillusione: un paese come gli Stati Uniti fin dalla rivoluzione del 1968 ha trovato nei giovani una profonda spinta rivoluzionaria e creativa i cui risultati sono ancora oggi pietre miliari della cultura internazionale. Erano anni in cui i temi trattati da Larry Clarke venivano affrontati dalla Silver Factory di Andy Wharol in chiavi fortemente espressive: il forte uso di droghe,  la pornografia e personaggi transgender compaiono attraverso diverse tipologie di opere non solo cinematografiche (si pensi a film come Blow Job – 1964 – e Kiss  1963) ma anche musicali (come i Velvet Undergroud e l’intera psichedelia degli anni settanta). In The Kids non c’è nulla di tutto ciò. 

E’ un film carico di un nichilismo fine a se stesso e autocompiacente incapace di andare oltre il proprio seminato per dar vita a una pellicola in cui gli stessi ragazzi delle periferie del mondo (non solo americane) non riescono più ad immedesimarsi  per creare una visione comune.

L’aspetto più controverso è che Clarke si fa carico di un messaggio involontariamente reazionario nel momento in cui si assume la responsabilità di dipingere i giovani americani del tutto privi di interessi e capaci solo di prevaricare il prossimo (come lo sverginatore seriale) facendo, di conseguenza, enormi passi indietro rispetto al suo lavoro da fotografo.

La sua raccolta fotografica intitolata Tulsa (dal nome della città dell’Oklahoma in cui Clarke è nato)  si impose nella storia della fotografia come una raccolta di immagini …cariche di una feroce onestà! (Dick Chevenrton sul Detroit Free Press). Erano le immagini  della sofferenza dei giovani del piccolo centro americano  senza scivolare verso una facile retorica o un autocompiacimento fine a se stesso. Era un manifesto di giovani sofferenti ma combattivi!

In The Kids non solo questa forza identitaria manca ma rischia di far scivolare il centro della discussione verso una facile critica verso i cosiddetti giovani d’oggi.

Da un punto di vista formale un’opera del genere non può ergersi a documento di uno spaccato generazionale (come spesso è stato definito) in quanto il cinema narrativo nasce dallo sguardo soggettivo dell’autore e non riesce a far emergere il valore politico dell’immagine (si pensi  al montaggio nel cinema di Sergej Ėjzenštejn ed al pluri sguardo sul mondo di Dziga Vertov).

 Un’opera come The Kids ci appare un film invecchiato male non solo perché lo sguardo di uno spettatore attento  e consapevole diventa, giocoforza, critico nel senso creativo del termine (capace di dare interpretazioni diverse da quelle dell’autore) ma si inserisce in un contesto storico in cui il concetto di verità del cinema narrativo è ampliamente superato a favore di una multimedialità divenuta un esperienza quotidiana. 

 

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Claudio Suriani Filmmaker

martedì 10 gennaio 2023

PILLOLE DI CINEMA - WHERE THE DEAD GO TO DIE (2012) DI JIMMY SCREAMERCLAUZ - Un mondo allucinatorio

 

 

L'universo di Where the Died Go to Die è caratterizzato da un'animazione retrò tipica dei videogame anni 80 e da una sorta di religiosità negativa in cui alcune delle tematiche tipiche del cinema horror (tra cui la mutazione dei corpi e la possessione demoniaca) vengono rielaborate in chiave apocalittica. Where the Died Go to Die ci getta in un vortice di follia fatto di depravazione, violenza e necrofilia. Una tale scelta registica, carica di un'animazione vintage fortemente stilizzata, ha il potere di destabilizzare lo spettatore molto più delle sequenze. L'orrore nel cinema è stato elaborato in numerose chiavi stilistiche. Da quando il mondo conobbe l'orrore dei campi di sterminio con il documentario Memory of the camps (costituito da una raccolta dei filmati degli eserciti alleati durante la liberazione dei campi di sterminio) l'orrore è diventato un sentimento del tutto stucchevole che ha spinto molti dei più grandi registi contemporanei (come David Lynch o David Cronemberg) ad inserire il perturbante all'interno di una riflessione sul cinema molto più ampia.

Seguendo tale percorso Where the Died Go to Die si rivela un film per stomaci forti proponendo al contempo un'idea rivoluzionaria per il cinema di animazione: per superare il canone disneyano e la classica estetica manga (incontrata con Akira ed Anappe Bazzoka) Jimmy ScreamerClauz compie, a livello visivo, un passo indietro di quasi trent'anni allo scopo di ridare al cinema di animazione una nuova spinta creativa e mostrando come l'universo del videogame, prodotto audiovisivo mai approfondito adeguatamente, possa dialogare con il cinema in modo del tutto coerente.

Where the Died Go to Die vive nei meandri più oscuri della cinematografia contemporanea riuscendo a turbare lo spettatore in modo viscerale proprio grazie alla sua natura fortemente sperimentale: carica di un viscerale nichilismo conserva a più di dieci anni dalla sua uscita, un fascino fuori dal tempo.
 
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Claudio Suriani Filmmaker

 


mercoledì 14 dicembre 2022

HANAPPE BAZOOKA (1992) DI KAZUO KOIKE - I nostri demoni

Il mondo degli anime è divenuto nel tempo parte integrante del cinema contemporaneo: registi come Hayao Miyazaki, Satoshi Kon e Katsuhiro Ōtomo (già incontrato nella recensione di Akira) riescono non solo ad influenzare il cinema mainstream (si pensi all'influenza di Perfect Blue in Mulholland Drive - David Lynch, 2001 - o sui primi film di Darren Aronofsky) ma a far defragrare l'ingombrante canone dell'animazione disneyana.

   

 Hanappe Bazooka, di Kazuo Koike, non rientra tra i capolavori del genere. La trama è la seguente: il giovane Hanappe è un liceale timido e insicuro follemente innamorato della giovane Takayanagi e vittima degli abusi dei bulli del quartiere. Un giorno, nell’atto di masturbarsi davanti ad un filmato pornografico, riesce ad evocare due spiriti demoniaci: Bazooka e Mefisto Dance, spiriti che sembrano animare nel giovane Hanappe le sue più profonde paure (specialmente verso Mefisto Dance verso la quale prova un misto di attrazione e terrore primordiale). Hanappe Bazooka è caratterizzato da una scrittura tipica del cinema di genere asiatico presentando, tuttavia, evidenti limiti strutturali.

Ci sono al suo interno diverse tematiche eterogenee che non arrivano mai ad un significativo approfondimento: è un commedia romantica, un fantasy e a tratti un horror fino a sfociare in una pornografia infantile incapace di centrare il suo obiettivo: la rappresentazione delle pulsioni sessuali adolescenziali. 


Un ulteriore aspetto sviluppato debolmente è dato dal ruolo dei personaggi di Bazzoka e Mefisto: entrambi costringeranno il giovane Hanappe a sviluppare una forza tale da trasformare tutte le sue insicurezze verso un finale caratterizzato da un misticismo dal sapore evocatorio anch’esso privo di un approfondimento adeguato. Nonostante l’autore dimostra di sapersi destreggiare tra mille generi diversi, Hanappe Bazooka alla fine della visione lascia diversi interrogativi; il suo principale demerito è di aprire troppe strade interpretative senza chiuderne, in realtà, neanche una. Se ci si approccia al film con un animo leggero a puro scopo ludico è un aspetto tutto sommato trascurabile ma ad un occhio critico di spettatori navigati ciò risulta un aspetto determinante rendendo l’opera lontana anni luce dai capolavori del genere (come il già incontrato Akira o Paprika e Perfect Blue di Satoshi Kon). Personalmente è un opera che non mi sento di sconsigliare ma da guardare con profondo senso critico.

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 Claudio Suriani Filmmaker

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