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Visualizzazione post con etichetta cinema underground. Mostra tutti i post
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mercoledì 8 febbraio 2023

THE KIDS (1995) DI LARRY CLARKE - UN FILM INVECCHIATO MALE

Entrai in contatto con The Kids molti anni fa e già allora lo reputai un film mediocre.

Nonostante sia un amante della cultura underground (cinematografica e musicale) fin dalla prima visione del film di  Lerry Clarke non riuscivo a entrare in empatia con i giovani protagonisti e con le loro (non) avventure totalmente prive d’interesse per me. Il sesso, la droga e la violenza, che a detta della critica meainstream dovrebbero rappresentare la vita giovanile delle periferie americane,  per l’intera durata del film non si ergono mai a un potere rappresentativo di una generazione o di uno spaccato sociale.

 

Siamo agli inizi degli anni novanta e nei bassifondi americani imperversa la rivoluzione del Punk Hardcore (svolta stilistica del punk rock che portò il genere verso un’estremizzazione delle tematiche e delle sonorità) mentre a livello cinematografico gli autori nati in contesti d’avanguardia riuscivano a imporsi al grande pubblico conservando  tuttavia una forte marca autoriale (si pensi al successo televisivo di David Lynch con Twin Peaks, Jim Jarmush con opere come Stranger Than Paradise (1984) e Down By Law, Abel Ferrara con Il cattivo tenente (1992), The Addiction (1995) ma anche la visionarietà dei primi successi di Tim Burton come Edward mani di forbice (1990), Sleepy Hollow (1999) e la nascita del fenomeno Quentin Tarantino. Il contesto culturale americano anni novanta conservava le linee guida dei protagonisti della scena culturale aprendosi tuttavia a un pubblico sempre più ampio attraverso diversi approcci all’arte di riferimento. In The Kids ciò che appare eloquente è che lo stesso Larry Clarke dimostra non solo di ignorare il mondo giovanile ma di averne una profonda disillusione: un paese come gli Stati Uniti fin dalla rivoluzione del 1968 ha trovato nei giovani una profonda spinta rivoluzionaria e creativa i cui risultati sono ancora oggi pietre miliari della cultura internazionale. Erano anni in cui i temi trattati da Larry Clarke venivano affrontati dalla Silver Factory di Andy Wharol in chiavi fortemente espressive: il forte uso di droghe,  la pornografia e personaggi transgender compaiono attraverso diverse tipologie di opere non solo cinematografiche (si pensi a film come Blow Job – 1964 – e Kiss  1963) ma anche musicali (come i Velvet Undergroud e l’intera psichedelia degli anni settanta). In The Kids non c’è nulla di tutto ciò. 

E’ un film carico di un nichilismo fine a se stesso e autocompiacente incapace di andare oltre il proprio seminato per dar vita a una pellicola in cui gli stessi ragazzi delle periferie del mondo (non solo americane) non riescono più ad immedesimarsi  per creare una visione comune.

L’aspetto più controverso è che Clarke si fa carico di un messaggio involontariamente reazionario nel momento in cui si assume la responsabilità di dipingere i giovani americani del tutto privi di interessi e capaci solo di prevaricare il prossimo (come lo sverginatore seriale) facendo, di conseguenza, enormi passi indietro rispetto al suo lavoro da fotografo.

La sua raccolta fotografica intitolata Tulsa (dal nome della città dell’Oklahoma in cui Clarke è nato)  si impose nella storia della fotografia come una raccolta di immagini …cariche di una feroce onestà! (Dick Chevenrton sul Detroit Free Press). Erano le immagini  della sofferenza dei giovani del piccolo centro americano  senza scivolare verso una facile retorica o un autocompiacimento fine a se stesso. Era un manifesto di giovani sofferenti ma combattivi!

In The Kids non solo questa forza identitaria manca ma rischia di far scivolare il centro della discussione verso una facile critica verso i cosiddetti giovani d’oggi.


Da un punto di vista formale un’opera del genere non può ergersi a documento di uno spaccato generazionale (come spesso è stato definito) in quanto il cinema narrativo nasce dallo sguardo soggettivo dell’autore e non riesce a far emergere il valore politico dell’immagine (si pensi  al montaggio nel cinema di Sergej Ėjzenštejn ed al pluri sguardo sul mondo di Dziga Vertov). Un’opera come The Kids ci appare un film invecchiato male non solo perché lo sguardo di uno spettatore attento  e consapevole diventa, giocoforza, critico nel senso creativo del termine (capace di dare interpretazioni diverse da quelle dell’autore) ma si inserisce in un contesto storico in cui il concetto di verità del cinema narrativo è ampliamente superato a favore di una multimedialità divenuta un esperienza quotidiana. 

 

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Claudio Suriani Filmmaker

martedì 10 gennaio 2023

PILLOLE DI CINEMA - WHERE THE DEAD GO TO DIE (2012) DI JIMMY SCREAMERCLAUZ - Un mondo allucinatorio



L'universo di Where the Died Go to Die è caratterizzato da un'animazione retrò tipica dei videogame anni 80 e da una sorta di religiosità negativa in cui alcune delle tematiche tipiche del cinema horror (tra cui la mutazione dei corpi e la possessione demoniaca) vengono rielaborate in chiave apocalittica. Where the Died Go to Die ci getta in un vortice di follia fatto di depravazione, violenza e necrofilia. Una tale scelta registica, carica di un'animazione vintage fortemente stilizzata, ha il potere di destabilizzare lo spettatore molto più delle sequenze. L'orrore nel cinema è stato elaborato in numerose chiavi stilistiche. Da quando il mondo conobbe l'orrore dei campi di sterminio con il documentario Memory of the camps (costituito da una raccolta dei filmati degli eserciti alleati durante la liberazione dei campi di sterminio) l'orrore è diventato un sentimento del tutto stucchevole che ha spinto molti dei più grandi registi contemporanei (come David Lynch o David Cronemberg) ad inserire il perturbante all'interno di una riflessione sul cinema molto più ampia. Seguendo tale percorso Where the Died Go to Die si rivela un film per stomaci forti proponendo al contempo un'idea rivoluzionaria per il cinema di animazione: per superare il canone disneyano e la classica estetica manga (incontrata con Akira ed Anappe Bazzoka) Jimmy ScreamerClauz compie, a livello visivo, un passo indietro di quasi trent'anni allo scopo di ridare al cinema di animazione una nuova spinta creativa e mostrando come l'universo del videogame, prodotto audiovisivo mai approfondito adeguatamente, possa dialogare con il cinema in modo del tutto coerente. Where the Died Go to Die vive nei meandri più oscuri della cinematografia contemporanea riuscendo a turbare lo spettatore in modo viscerale proprio grazie alla sua natura fortemente sperimentale: carica di un viscerale nichilismo conserva a più di dieci anni dalla sua uscita, un fascino fuori dal tempo.
 
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Claudio Suriani Filmmaker

martedì 6 dicembre 2022

PILLOLE DI CINEMA - KUSO (2017) DI FLYING LOTUS - Esperimenti di cinema dadaista




 
 
Kuso è un interessante esperimento di cinema dadaista in cui si avvertono influenze che vanno dalle animazioni di Terry Gilliam fino ai Monty Python passando per un'ossessione compulsiva per la pop art. La visione di Kuso è  quanto di più lontano dalla logica borghese dell'intrattenimento ed è necessario per cogliere le innovazioni dell'industria cinematografica underground. La storia del cinema è piena di opere capaci di superare la logica della narrazione classica (la prima è sicuramente il Kinoglaz di Dziga Vertov); Kuso si impone come la versione disgustosamente grottesca di questa scuola cinematografica.
Kuso è influenzato dal cinema di David Lynch, David Cronemberg, Shin'ya Tsukamoto e il body horror grottesco di Society (Brian Yuzna, 1989) tutto passato all'interno di quel tritatutto che si chiama rete digitale. In conclusione, Flying Lotus è il Marcel Duchamp del cinema contemporaneo e Kuso è il suo urinatoio.

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Claudio Suriani Filmmaker

domenica 4 dicembre 2022

IL FILM RITIRATO ... Frágil al Torino Film Festival e il caso Pedro Henrique....

 

Ritirato all'ultimo Torino Film Festival dallo stesso regista, Frágil è un film che cerca di rappresentare la libertà individuale attraverso uno stile di vita trasgressivo... L'inerzia del regista applicata durante il Torino Film Festival, dimostra tutta l'ingiustificata esaltazione di un personaggio totalmente convinto di avere un innato talento. Stringendo, Frágil è un prodotto underground che non aggiunge nulla né fa scalpore. Una regia eterogenea fine a sé stessa, che indispone quanto la futile protesta perpetrata dallo stesso Pedro Henrique. 

 


La protesta è il sale della democrazia. Pedro Henrique è tutto, fuorché l'ultimo baluardo di un progressismo che oramai non esiste più. La protesta contro la norma anti-rave attuata dal governo Meloni risulta vana, futile, svilendo completamente l'efficacia.

Più che una dimostranza, una pessima esibizione ed una totale mancanza di rispetto, verso una manifestazione composta da gente che lavora quasi ininterrottamente. Il caso Pedro Henrique.. ca va sans dire .....

Detto ciò, sotto il film ritirato dal TFF. ( Cliccare su "Guarda su Youtube")

 

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Alessio Giuffrida


venerdì 2 dicembre 2022

PILLOLE DI CINEMA - TETSUO II; BODY HAMMER - Gregor Samsa in chiave cyberpunk

 
 
 
Il secondo capitolo della saga di Tetsuo apporta cambiamenti decisivi all'interno del tessuto narrativo: Tsukamoto approfondisce la natura action dell'opera pur restando all'interno di un immaginario post-industriale caratteristico del Giappone del XX secolo. Questa trasformazione appare uniforme se consideriamo la saga  un'opera unica e non tre film a sé stanti; questa uniformità possiamo riscontrarla anche attraverso un montaggio frenetico che ben rappresenta non solo la società post-industriale ma, in generale, il ritmo interno delle metropoli.
Tetsuo II; Body Hammer è uno di quei film che se non lo si considera all'interno dell'estetica del suo autore, caratterizzata da un body horror di stampo cyberpunk, si rischia di non comprenderne a pieno il suo indiscusso valore in quanto il rapporto uomo-macchina si apre ad un desiderio di umanizzazione che non troverà speranza; è il perfetto punto di congiunzione tra una società post-industriale disumanizzante  e il desiderio umano di trovare, all'interno della stessa, una nuova condizione umana.

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Claudio Suriani Filmmaker

domenica 27 novembre 2022

BEGOTTEN (1991) di E.ELIAS MERHIGE. La nascita del tempo.

Begotten si presenta come opera seminale in quanto mette in scena l’esistenza prima della nascita del tempo e della storia (l’aura sanza tempo dantesca). Il silenzio che pervade l’intero film si pone come sorta di rumore primordiale che anticipa il tempo come creatore di linguaggi.
 
 
Tale aspetto propedeutico sembra collegarsi direttamente all’incipit della Bibbia e del Vangelo secondo Giovanni; nel primo paragrafo della Genesi si narrano i primi sette giorni della creazione in cui Dio creò dapprima il cielo e la terra, e in seguito la luce, il firmamento, il raccoglimento delle acque, germogli, erbe ed alberi da frutto, gli esseri viventi dei mari e della terra, fino ad arrivare al settimo giorno in cui Dio creò l’uomo. Inoltre, se consideriamo l’incipit del V.S. Giovanni (In principio era il Verbo, Il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio) possiamo considerare il linguaggio come causa fondante della storiorafia. Il tempo della creazione biblica non può essere analizzato da un punto di vista storico (come tutti i libri delle grandi religioni) ma in chiave simbolica o allegorica ed è da ciò che Begotten muove i suoi passi. Il film inizia con la scritta: Language bearers, photographers. Diary makers. You with your memory are dead frozen. Lostin a present that never spops passing. Here lives incantation of matter. A Language forever (Come una fiamma che brucia l’oscurità, la vita è carne su ossa che si agitano sulla terra); a questo punto inizia una sequenza che sembra legarsi direttamente ai primi due versi della Genesi: In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque; la massa informe descritta è rappresentata dal gioco di bianco e nero privo sia di sfumature sia di messa a fuoco; come se la creazione incompiuta della luce (elemento fondativo del cinema e della fotografia) sia rappresentata da una grezza impressione su pellicola. Begotten, riprendendo il discorso su Il verbo e ponendosi in una dimensione antecendente la storia, si pone anche al di fuori della conoscenza umana in assonanza con il verso del secondo paragrafo della Genesi: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti"
 
 
 
 
La mancata conoscenza impedisce all’uomo di far esperienza del mondo e della capacità di diventare ente creativo di storia: questa è la causa degli orrori del mondo non solo in chiave cristiana (la cacciata dal giardino dell’Eden e la successiva nascita di Caino e Abele come genesi dell’odio umano), ma accostabile anche in chiave pagana come il mito greco delle Erinni. Mettendo in relazione questo passaggio biblico con l’inizio di Begotten, se dalla parola di Dio nasce il giardino dell’Eden come principio di tutti gli eventi e della conoscenza, nel film di E. Elias Merhige vediamo un essere umanoide dalle sembianze indeterminate, aprirsi il ventre dalla quale uscirà ciò che in molte analisi è stata definita Madre natura; il giardino dell’Eden in forma antropomorfa. La nascita di Madre natura, intesa come nucleo generante della vita, comporta la nascita dell’uomo; tuttavia la nascita delle creature umanoidi avviene non attraverso un atto di unione carnale ma dalla masturbazione del cadavere di Dio (azione paragonabile all’evirazione di Urano da parte di suo figlio Crono); ciò portò alla nascita non di esseri umani carichi di una propria psicologia interna e creatori di storia.
 
 

Identificando Dio con La vita (come recita il versetto del V.S. Giovanni In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini) possiamo cogliere nel tempo messo in scena da Begotten una struttura circolare dove la morte appare in tutta la sua natura tragica accentuata, dal punto di vista visivo, da un bianco e nero violento del tutto privo di sfumature. Il cinema in Begotten arriva a mettere in scena un immagine mitologica perchè viene privata di legami con ogni passata esperienza figurativa. 
 
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 Claudio Suriani Filmmaker


venerdì 25 novembre 2022

CENSOR (2021) DI PRANO BAILEY-BOND - Censura come fuga dal dolore

Uno degli aspetti determinanti della cultura occidentale è il meccanismo di rimozione in senso freudiano che si manifesta attraverso logiche politiche ed un sapere di tipo dualistico che divide nettamente il bene dal male. La cultura underground lavora da sempre sulla necessità di superare tale dualismo e sul bisogno di elaborare le proprie pulsioni fondamentali come il sesso o la paura; in questo scenario la censura si qualifica come azione inibitoria dei propri istinti primordiali.  

Censor, storia di Enid, impiegata presso l’ufficio statale per la censura cinematografica, è un film che affronta tale tematica attraverso diversi livelli interpretativi. Il primo indaga gli effetti dell’azione censoria sulle dinamiche psichiche dell’individuo mentre il secondo riguarda la storia del cinema e la sua tendenza alla rimozione dalla propria storia  numerose categorie filmiche, dalle opere grindhouse agli archivi famigliari fino alla pornografia (genere cinematografico presente già nell’epoca del muto) considerate opere prive di interesse sia culturale che economico/produttivo. In questo percorso il personaggio di Enid è esemplare: ha una vita tormentata dal dolore della scomparsa della sorella e da genitori che la dichiarano ufficialmente morta creando una frattura insanabile con i fantasmi del suo passato.


I traumi della sua vita si ripercuotono nel suo lavoro; ogni sequenza a cui applica il final cut non la abbandona mai del tutto diventando terreno fertile per il riapparire degli spettri del passato rendendola una figura femminile sgradevole in cui è difficile immedesimarsi. La natura altamente drammatica del suo personaggio è alimentata dalla grande prova attoriale di Niamh Algar che lavora su un perfetto confine tra il controllo delle sue nevrosi e l’immagine sobria e rassicurante della burocrate (che incarna la rilevanza storica che questa figura ha assunto dalla fine della seconda guerra mondiale). Enid non riuscendo a trovare conforto nei valori morali del suo lavoro cerca in quelle sequenze rimosse la chiave per elaborare i suoi demoni interiori. Censor è ambientato nell’Inghilterra degli anni 70, un periodo storico caratterizzato da dure lotte sociopolitiche e dalla guerra civile nell’Irlanda del nord; allo scenario appena descritto si aggiunge la memoria del sangue di una guerra civile spesso dimenticata che culminò nel Bloddy Sunday (30 gennaio 1972).


 
Nonostante Censor sia un opera che parla di cinema, la sala è la grande assente poichè l’universo home video riguarda la dimensione privata dello spettatore; se la sala è un luogo comunitario, la nostra dimensione privata esprime in modo diretto il nostro essere più profondo. Censor inoltre porta con sé un profondo amore per l’immagine analogica; sotto questo aspetto non solo è figlio dell’epoca che narra ma pone al centro della sua riflessione il bisogno di una raffigurazione coerente con le tematiche trattate dando alle sue immagini un gusto retrò carico di fascino. I tragici sviluppi delle vicende narrate ci mostrano in modo decisivo quanto lo spettatore necessiti di un’educazione alla visione e di come la censura abbia fallito i propri scopi specialmente nell’epoca delle tecnologie digitali.

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 Claudio Suriani Filmmaker

 


lunedì 21 novembre 2022

PINK FLAMINGOS (1972) DI JOHN WATERS - Racconti di un trucido d’autore; Coprofagi al potere

La controcultura cinematografica è un fenomeno tipicamente americano che trova in John Waters uno degli esempi più significativi: il suo cinema vive fuori dalle istituzioni hollywoodiane riuscendo a creare un parallelismo tra degrado e creatività.

A puro titolo personale (…e magari non solo..) non posso esimermi dal dire che una delle gioie più grandi nel scrivere questo articolo è l’idea che gran parte della critica italiana contesterebbe la sola idea di definire il regista di Pink Flamingos uno degli autori più influenti del cinema americano.



Se il termine autore indica ideatore ed esecutore al tempo stesso e anche chi ha prodotto o realizzato un'opera di ingegno (scientifica, letteraria, artistica) nel cinema di Waters l’orizzonte di riferimento è un ibrido tra la cultura degli anni sessanta e la rivolta underground dell’universo punk (nonostante il terribile titolo italiano di Desperate Living - Nuovo punk story - la sua estetica rinvia direttamente ad un immaginario underground tipico dell’America degli ultimi anni 70).

La sua natura di cinema povero riesce a far emergere le influenze del New American Cinema e dell’immaginario cinematografico di Andy Wharol riadattato in chiave di rivolta contro il Maccartismo e il codice Codice Hays che tanto hanno influito sul cinema hollywoodiano e sulla politica conservatrice americana. Pink Flamingos è il primo film a colori di Waters; se nella recensione di Gummo abbiamo definito i personaggi un corollario di Peanutz metropolitani, in questo caso Waters porta alle estreme conseguenze tale approccio al cinema proponendo la mitica Divine (alias Babs Johnson) come protagonista indiscussa dell’opera e proseguendo con personaggi come Edith Massey, Mink Stole e Mary Vivian Pearce che sotengono l’intera opera.


 

Siamo nell’America della contestazione della guerra in Vietnam e delle numerose rivolte sociali (tra le più importanti troviamo il Black Power e i Moti di Stonewall). Il quadro rappresentato da Waters è quantomeno pittoresco: Divine abita in una roulotte insieme alla madre malata di mente, il figlio e la sua ragazza e si vanta di un pittoresco primato: essere la persona più disgustosa del mondo. Questo primato, tuttavia, non sta bene ai coniugi Raymond e Connie Marble che vogliono destituire Divine dal suo regno del disgusto ( trafficando in bambini e spacciando eroina davanti alle scuole elementari). Nonostante le violenze e le intimidazioni che la nostra protagonista sarà costretta a subire l'allegra combriccola della roulotte reagirà alla violenza dei due dolci coniugi attraverso una particolarissima vendetta. Che Pink Flamingos sia una delle opere più disturbanti di tutta la storia del cinema è risaputo. Ritengo interessante indagarne perché é come inserire l’opera di Waters all’interno di una Storia e critica del cinema spesso vittima di considerazioni incapaci di farsi carico di opere lontane dall’estetica dei grandi maestri.


 
Il cinema di John Waters arriva dai meandri più putridi di un America rurale priva di ogni fasto e pervasa da un forte senso di disillusione creato dai massacri della famiglia Manson e di Jonestown; è un fiero manifesto estetico della frangia estrema di quel variegato mondo chiamato Grindhouse. In Pink Flamingos il disgusto si erge a movimento di rivolta non solo verso una società americana decadente e carica di una forte violenza politica mai elaborata (si pensi alle leggi razziali verso gli afroamericani e alla persecuzione della comunità omosessuale) ma anche verso il cinema americano stesso ancora carico di vincoli morali prevaricanti. Tuttavia l’America stessa dai primi anni 70 trovò nella nascita di una cultura underground una possibile chiave di elaborazione di tali eventi storici; la musica vedeva la nascita della cultura punk mente Il New American Cinema Group e autori come Jack Smith, Gregory J. Markopoulos, e Kenneth Anger imponevano una nuova idea di cinema priva di ogni formalismo stilistico. Era un universo decadente che reclamava il proprio spazio nell’immaginario collettivo così come Russ Meyer imponeva la prorompente fisicità femminile come un elemento di cui gioire senza l’autoreferenzialità della pornografia fine a se stessa. Pink Flamingos rappresenta un punto di non ritorno della commedia americana.


 

Nonostante la sua natura radicalmente underground (fino al punto che fu presentato  in anteprima in un’unica sala cinematografica presa in affitto a Baltimora la bellezza di 50 anni fa) riuscì ad influenzare opere che come Brutti, sporchi e cattivi (Ettore Scola, 1976) come a significare che se la storia del cinema subisce un’innaturale rimozione delle opere antisistema, i maestri sanno accogliere tali opere rielaborandole in chiave personale e adatta al contesto politico di riferimento. A questo punto comprendiamo la citazione di Waters quando disse Per me, il cattivo gusto è tutto ciò di cui parla il mondo dell’intrattenimento (Shock. L'autobiografia trasgressiva e irriverente del re del trash - John Waters - Lindau – 2000). Secondo Waters l’intrattenimento allontana dai problemi della vita, specialmente dai più duri e dai più scioccanti. Il cinema come fuga dalla realtà è inteso da Waters come una radicale anestetizzazione politica e sociale e spinge il regista di Baltimora a gettare lo spettatore nelle orde più disgustose del mondo come atti coprofagi, travestitismo greve e sacche di povertà che da sempre vivono ai margini di una società borghese come quella americana.

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Claudio Suriani Filmmaker 






domenica 20 novembre 2022

GUMMO (1997) DI HARMONY KORINE - Una raccolta di Peanuts metropolitani


                                   


 
L’esordio cinematografico di Harmony Korine rappresenta una delle vette più alte del cinema underground americano. Per poter comprendere un film tanto perturbante quanto coinvolgente è necessario ripercorrere brevemente gli esordi del regista americano.
 

Korine a soli diciannove anni scrisse la sceneggiatura di The Kids (Larry Clark, 1995); opera iconica sul disagio giovanile gettando le basi per la rappresentazione dell’universo White trash caratteristico dei territori rurali americani. Appena due anni dopo Korine approda alla regia è comprende che il cinema ripone la sua vera natura nell’immagine e nella capacità di creare spazi interpretativi attraverso il dialogo tra diversi formati video; la natura perturbante di Gummo non si basa sulla violenza delle sequenze ma sulla mancanza di chiusura narrativa delle vicende dei giovani protagonisti chiamando lo spettatore ad uno sforzo interpretativo.

  

Nonostante il susseguirsi di vicende slegate tra loro e prive di uno slancio creativo verso il futuro (sia del personaggi che dell’intera comunità di Xenia), questo dialogo tra le immagini riesce a costruire una coerenza interna alla narrazione; l’uragano Gummo non ha distrutto solo la città di Xenia ma ha creato una sorta di blocco temporale in cui è andata perduta sia la memoria del passato (individuale e comunitario) sia la spinta verso il futuro affidando la vita dei personaggi a meri stratagemmi per poter sopravvivere (come l’uccisione dei gatti e il prostituirsi da parte di una ragazza disabile). Tali azioni non possono essere definite amorali in quanto Gummo priva il proprio universo di senso della necessità di interrogarsi sulla morale e sull’etica. Nonostante sia difficile dare una definizione unica di Gummo appare tuttavia chiaro è che il film di Korine è figlio del suo tempo; siamo alla fine degli anni novanta e sta iniziando ad affacciarsi nel cinema la rivoluzione digitale. L'occhio meccanico comincia ad entrare nella vita quotidiana delle persone diventando una vera e propria protesi della nostra quotidianità; nel venir meno del senso di comunità e di una prospettiva politica (intesa in senso etimoligico) tutto diventa un possibile soggetto acquisendo una drammaticità impossibile tuttavia da elaborare. 

 

Gummo


Ciò che rende Gummo profondamente affascinante quanto perturbante, è la perdita totale di un apertura verso il mondo e alle sue influenze: il mondo inizia e finisce con Xenia. La vita sfugge via, gli schermi si moltiplicano e il cinema diventa altro da sé; ogni immagine diventa portatrice di significati in quanto l'essere umano ha bisogno delle immagini per far esperienza del mondo ed il mondo diventa il nostro stesso nutrimento attraverso immagini visive, mentali e memoriali. Tale esperienza è possibile solo nel momento in qui le immagini stesse si aprono ad un incontro/scontro; facciamo esperienza nel momento in cui ci apriamo all'elaborazione di ciò che non comprendiamo e che ci arriva attraverso un sentimento perturbante. Gummo sembra destinato ad un pubblico inesistente (come le piccole provocazioni del bunnyboy nella sequenza iniziale) o ad un pubblico fantasma che, come le auto sotto il ponte dell'autostrada, passano veloci per poi fuggir via. 

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Claudio Suriani Filmmaker 



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