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martedì 10 gennaio 2023

PILLOLE DI CINEMA - WHERE THE DEAD GO TO DIE (2012) DI JIMMY SCREAMERCLAUZ - Un mondo allucinatorio

 

 

L'universo di Where the Died Go to Die è caratterizzato da un'animazione retrò tipica dei videogame anni 80 e da una sorta di religiosità negativa in cui alcune delle tematiche tipiche del cinema horror (tra cui la mutazione dei corpi e la possessione demoniaca) vengono rielaborate in chiave apocalittica. Where the Died Go to Die ci getta in un vortice di follia fatto di depravazione, violenza e necrofilia. Una tale scelta registica, carica di un'animazione vintage fortemente stilizzata, ha il potere di destabilizzare lo spettatore molto più delle sequenze. L'orrore nel cinema è stato elaborato in numerose chiavi stilistiche. Da quando il mondo conobbe l'orrore dei campi di sterminio con il documentario Memory of the camps (costituito da una raccolta dei filmati degli eserciti alleati durante la liberazione dei campi di sterminio) l'orrore è diventato un sentimento del tutto stucchevole che ha spinto molti dei più grandi registi contemporanei (come David Lynch o David Cronemberg) ad inserire il perturbante all'interno di una riflessione sul cinema molto più ampia.

Seguendo tale percorso Where the Died Go to Die si rivela un film per stomaci forti proponendo al contempo un'idea rivoluzionaria per il cinema di animazione: per superare il canone disneyano e la classica estetica manga (incontrata con Akira ed Anappe Bazzoka) Jimmy ScreamerClauz compie, a livello visivo, un passo indietro di quasi trent'anni allo scopo di ridare al cinema di animazione una nuova spinta creativa e mostrando come l'universo del videogame, prodotto audiovisivo mai approfondito adeguatamente, possa dialogare con il cinema in modo del tutto coerente.

Where the Died Go to Die vive nei meandri più oscuri della cinematografia contemporanea riuscendo a turbare lo spettatore in modo viscerale proprio grazie alla sua natura fortemente sperimentale: carica di un viscerale nichilismo conserva a più di dieci anni dalla sua uscita, un fascino fuori dal tempo.
 
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Claudio Suriani Filmmaker

 


mercoledì 14 dicembre 2022

HANAPPE BAZOOKA (1992) DI KAZUO KOIKE - I nostri demoni

Il mondo degli anime è divenuto nel tempo parte integrante del cinema contemporaneo: registi come Hayao Miyazaki, Satoshi Kon e Katsuhiro Ōtomo (già incontrato nella recensione di Akira) riescono non solo ad influenzare il cinema mainstream (si pensi all'influenza di Perfect Blue in Mulholland Drive - David Lynch, 2001 - o sui primi film di Darren Aronofsky) ma a far defragrare l'ingombrante canone dell'animazione disneyana.

   

 Hanappe Bazooka, di Kazuo Koike, non rientra tra i capolavori del genere. La trama è la seguente: il giovane Hanappe è un liceale timido e insicuro follemente innamorato della giovane Takayanagi e vittima degli abusi dei bulli del quartiere. Un giorno, nell’atto di masturbarsi davanti ad un filmato pornografico, riesce ad evocare due spiriti demoniaci: Bazooka e Mefisto Dance, spiriti che sembrano animare nel giovane Hanappe le sue più profonde paure (specialmente verso Mefisto Dance verso la quale prova un misto di attrazione e terrore primordiale). Hanappe Bazooka è caratterizzato da una scrittura tipica del cinema di genere asiatico presentando, tuttavia, evidenti limiti strutturali.

Ci sono al suo interno diverse tematiche eterogenee che non arrivano mai ad un significativo approfondimento: è un commedia romantica, un fantasy e a tratti un horror fino a sfociare in una pornografia infantile incapace di centrare il suo obiettivo: la rappresentazione delle pulsioni sessuali adolescenziali. 


Un ulteriore aspetto sviluppato debolmente è dato dal ruolo dei personaggi di Bazzoka e Mefisto: entrambi costringeranno il giovane Hanappe a sviluppare una forza tale da trasformare tutte le sue insicurezze verso un finale caratterizzato da un misticismo dal sapore evocatorio anch’esso privo di un approfondimento adeguato. Nonostante l’autore dimostra di sapersi destreggiare tra mille generi diversi, Hanappe Bazooka alla fine della visione lascia diversi interrogativi; il suo principale demerito è di aprire troppe strade interpretative senza chiuderne, in realtà, neanche una. Se ci si approccia al film con un animo leggero a puro scopo ludico è un aspetto tutto sommato trascurabile ma ad un occhio critico di spettatori navigati ciò risulta un aspetto determinante rendendo l’opera lontana anni luce dai capolavori del genere (come il già incontrato Akira o Paprika e Perfect Blue di Satoshi Kon). Personalmente è un opera che non mi sento di sconsigliare ma da guardare con profondo senso critico.

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 Claudio Suriani Filmmaker

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