Vita e morte sono veramente due condizioni contrapposte come ci è stato insegnato?
The Whale, ultimo lavoro di Darren Aronofsky, ci appare come una summa della sua intera filmografia: risuonano gli echi biblici di Madre (2017), i tormentati rapporti famigliari di The Wrestler (2008) e soprattutto il senso di solitudine e di fallimento dei protagonisti ormai divenuto totalizzante.
Tutto parte dal titolo: The Whale (la balena). Il nostro protagonista Charlie affetto da un’obesità ormai fuori controllo vive un intimo rapporto con il romanzo di Herman Melville Moby Dick divenuto la sua fragile ancora di salvezza dall’inferno in cui è precipitato. Charlie è un docente universitario di letteratura e attraverso le sue lezioni sulle piattaforme digitali (rigorosamente a telecamera spenta) riesce a costruirsi uno sguardo sul mondo… uno sguardo fragile e carico dei traumi che, fin dall’inizio, sappiamo non potranno essere elaborati.
La lotta di Charlie contro il suo corpo è persa in partenza in quanto sappiamo che dovrà morire e l’intero film è intriso di un nichilismo contro cui si infrangono religione, affetti più cari (il compagno morto, una famiglia abbandonata, una figlia che lo odia – proprio come in The Wrestler del 2008) e ogni tipo di rapporto con il mondo esterno. Nonostante il cibo sia la sua maledizione Charlie riesce a immaginare un mondo al di fuori del suo incubo anche osservando un uccellino che si posa regolarmente sulla sua finestra che nutre regolarmente: anche in questo caso sarà una speranza effimera e incapace di incidere sugli eventi.
Il personaggio di Charlie ci accompagna nel suo mondo fatto di cibo ingurgitato, quattro mura opprimenti e un passato che pesa più di ogni altra cosa; ciò che ci porta a empatizzare con lui è il suo desidero di affetto divenuto nel tempo del tutto acritico. Il desiderio di riconquistare il rapporto con la figlia ormai adolescente lo porta a essere cieco di fronte alle gratuite cattiverie a cui lo sottopone (come la pubblicazione sul profilo social di foto scattate furtivamente o quando gli dice Sbrigati a morire) che esulano da un rancore giustificabile da parte di una figlia abbandonata.
Il dramma messo in scena da Aronofsky si carica di un’indagine sul corpo al limite del pornografico (che per chi segue Cinepeep sa che non è inteso in senso dispregiativo quando riesce a farsi carico di idee) non solo quando Charlie chiede ripetutamente a Thomas ( Ty Simpkins) se lo trovi disgustoso ma anche quando decide di rivelare ai propri studenti la sua condizione abbandonando ogni forma di protezione e sottoponendosi all’inevitabile giudizio altrui: questo sarà il punto di rottura definitivo.
Il cinema è un’arte visiva e, in quanto tale, la storia narrata ha bisogno di scelte formali coerenti capaci di farci entrare a pieno nella vita dei protagonisti. A questo punto torniamo alla domanda iniziale ampliandone la portata: perché lo spettatore deve farsi carico di un universo così drammatico e privo di speranza? Se come abbiamo detto in The Whale risuonano gli echi della sua intera filmografia (specialmente The Wrestler e Madre) è anche vero che Aronofsky decide di indagare la capacità del cinema non solo di sviluppare ulteriormente i fulcri narrativi delle opere precedenti ma di farsi carico di un universo drammatico senza diventare pedante o scendere nel bodyhorror … un universo che non gli appartiene.
Inoltre se il cinema esiste nell’occhio dello spettatore singolo (in quanto ognuno darà il suo contributo creativo nell’interpretazione di un’opera) ritengo sia necessario indagare la sua capacità di uscire dalle logiche dell’intrattenimento per intraprendere percorsi dolorosi ma capaci di incidere sulla nostra sensibilità più profonda. Ci sono inoltre numerosi sottotesti che alimentano il film come rapporti umani mediati dagli schermi, il valore dell’insegnamento e molti altri; tuttavia sono tematiche che non arrivano mai ad imporsi come punto focale dell’intera opera. The Whale è la storia di un uomo dal corpo enorme che cerca dolorosamente di riconquistare un frammento di vita prima dell’inevitabile destino ed è proprio questo che ci porta al meraviglioso finale: un finale aperto che ci spinge a non avere paura della morte anche quando siamo chiamati a lottare contro le nostre sofferenze più grandi …Vita e morte si riconciliano.
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Claudio Suriani Filmmaker
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