Nosferatu è una delle più grandi delusioni di quest’anno, delusione che ha origine dalle grandi aspettative su Robert Eggers dopo opere come The Witch e The Lighthouse… di The Northman abbiamo ampiamente parlato.
Il giovane regista newyorkese ha imbastito una messa in scena ridondante che stride fortemente con l’immaginario della figura del vampiro degli anni venti, metafora di tragedie contemporanee e tradisce il desiderio stesso di Eggers di reinventare il cinema del passato in chiave postmoderna specie per la caduta del discrimine tra cultura popolare e cultura alta… e qualcuno prima o poi si prenderà l’onere di spiegarlo.
Andiamo per ordine: Siegfried Kracauer in Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco (Lindau, 2007) mette in luce come il cinema della repubblica di Weimar raccontava l’inconscio collettivo del popolo tedesco che prefigurava l’avvento del nazismo; Nosferatu di F. Murnau emerge come una delle grandi metafore delle paure di un’epoca che si avviava verso la catastrofe della guerra, immaginario che viene confermato da un’altra opera monumento del cinema tedesco come M, il mostro di Dusseldorf (Fritz Lang 1931) in cui emerge il tema dei criminali al potere.
Tuttavia il rapporto tra la peste e la guerra (o i processi sommari) o tra vampirismo e dittatura non ha più ragione di essere nel momento in cui non solo la Germania ha elaborato il proprio passato (a differenza dell’Italia) ma a livello cinematografico il tema del vampirismo è stato destrutturato aprendolo a diverse interpretazioni: dalla commedia (Per favore, non mordermi sul collo, Roman Polanski, 1966) ad opere adolescenziali (l’intera saga di Twilight) … persino i cartoni animati.
L’opera di Eggers impatta nell’assenza di un sottotesto aperto alla contemporaneità: il suo limite nasce proprio dal voler riproporre uno schema narrativo incapace oggi di portare con sé un immaginario legato alla società dei primi del novecento al contrario di Solo gli amanti sopravvivono (Jim Jarmush 2013) in cui emerge lo spettro dei nostri giorni.
Oggi ciò che fa più paura non è il mostro (specie quello classico) ma il viscerale senso di solitudine dell’uomo moderno… una quieta disperazione del tutto priva di enfasi … Adam ne è un esempio perfetto.
Se il cinema di Murnau era saturo di un fuori campo ricco di sogni e presentimenti (non solo nel Nosferatu ma anche in capolavori come Faust del 1926 o Aurora del 1927) in Eggers l’opera è tutta in campo eliminando ogni possibile atto critico/interpretativo dello spettatore e nel momento in cui tutto ci è posto su di un piatto d’argento la domanda è: questo grande sforzo produttivo cos’ha aggiunto all’immaginario sui vampiri, alla carriera di Eggers e al cinema in generale? Che il regista newyorkese possiede una grande tecnica cinematografica? Non solo già lo sapevamo ma Nosferatu è l’ennesima conferma che un’opera (soprattutto nel cinema horror) priva di sottotesti si infrange contro il muro del già visto e già sentito.
Eggers attraverso il Nosferatu ha voluto intraprendere una strada troppo più grande di sé: il voler uccidere i propri maestri sfociando in un formalismo estetizzate privo di interesse…è come se raccontasse molto più dello stesso Eggers che del Conte Orlok specie se si riflette sul desiderio dello stesso di affrontare i classici dell’orrore: è forse questa lotta iconoclasta che priva il vampiro di quell’eleganza che è propria del suo personaggio?
Da Murnau a Herzog, passando per Tod Browning fino a Jarmush la raffinatezza è sempre stata una componente essenziale del vampiro capace di creare contrasto interno tra i modi esteriori e l’orrore di cui esso è portatore. Tuttavia non si può negare che questo desiderio di emancipazione di Eggers dai suoi stessi padri lo ha portato a sbagliare l’iconografia del personaggio non solo perché ci appare come Frankestein, storico alter-ego del Conte Dracula, ma a livello formale realizza un’opera dal taglio classico che vi si richiama fallendo in pieno questa (possibile) emancipazione.
Avendo amato profondamente le prime due opere di Eggers (soprattutto The Lighthouse) mi auguro che il regista americano porti avanti questa sua lotta interiore ma che abbandoni questa sterile riproposizione dei classici dell’orrore per esprimerla in opere nuove che rappresentino in pieno il suo grande potenziale registico … e forse autoriale.
Claudio Suriani Filmmaker
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