Akira si è imposto nella storia del cinema d’animazione come un’opera iconica non solo per le tematiche legate alla modernità ma soprattutto per essere una pellicola carica di una forza rivoluzionaria capace di far deflagrare il canone ingombrante dell’animazione disneyana. Come ogni opera al limite dell’eversivo non riuscì ad imporsi nel panorama cinematografico italiano diventando un cult grazie all’home video e ai passaggi televisivi (celeberrima l’andata in onda in una puntata di Fuori Orario a cavallo tra il 1995 e il 1996 in occasione dei cento anni dalla nascita del cinema). Perché Akira conserva ancora oggi tratti profondamente innovativi e d’avanguardia? Il primo elemento da considerare è la tematica della disgregazione dello spazio urbano. La trama è la seguente: nel 1982 Tokyo viene distrutta da un’esplosione nucleare che dà vita alla Terza guerra mondiale.
Con un salto temporale di 37 anni conosciamo i nostri protagonisti, una banda di motociclisti che si diverte a scorrazzare per le vie di Neo-Tokyo scontrandosi con bande rivali. Le vicende prenderanno una piega drammatica quando il governo preleverà Tetzuo (non un nome a caso) allo scopo di sottoporlo a terribili esperimenti. Da questa breve introduzione possiamo cogliere il legame con cult del cinema americano: 1997, Fuga da New York (John Carpenter, 1981), I guerrieri della notte (Walter Hill, 1979) e naturalmente il giapponese Tetzuo ( Shin’ya Tzukamoto, 1989). I primi due film mettono in scena uno spazio urbano in cui al concetto di polis si sostituisce uno spazio oppressivo, incapace di creare legami tra le persone che lo abitano (al punto che nel film di Carpenter la città di New York è divenuta un carcere a cielo aperto) mentre nel film di Tzukamoto lo spazio urbano perde il proprio valore guida a favore di una realtà cyberpunk alienante di natura kafkiana. Tra lo spazio urbano e la popolazione viene a crearsi una rottura insanabile che determina la nascita di una dimensione politica in cui la vita individuale e comunitaria nasce da un atto mortifero che dà vita non solo a Neo-Tokyo, spettro della vecchia città, ma soprattutto alla Terza guerra mondiale … la più grande paura del genere umano dal 1945 ad oggi. Secondo Enrico Ghezzi Akira è un’opera che riesce ad andare oltre l’animazione per poi tornare sui propri passi in modo del tutto peculiare; se ciò fosse vero, quale sarebbe allora l’elemento che caratterizza la pellicola di Otomo? Akira è un’opera sulla mutazione del concetto di storia e di “corpo umano” soggetto negli anni a pratiche politiche di diversa natura (dagli esperimenti di Josef Mengele fino a legislazioni che vanno dalla gestione dei flussi migratori, salute, psichiatria fino ad arrivare alla sessuologia – in questo caso è emblematico l’esempio di Diana J. Torres con le sue pratiche di porno-terrorismo come lotta alla gestione politica della sfera sessuale delle popolazioni).
Tornando ad Akira abbiamo introdotto il concetto di canone disneyano che si basa sul potere economico della casa di produzione americana capace di diventare l’asse attorno al quale ruota tutta l’animazione di successo. Negli ultimi quindici anni tuttavia la cultura cyberpunk si è imposta nella narrativa cinematografica in quanto portavoce di tematiche legate alla violenta crescita tecnologica e demografica in cui l’essere umano perde la propria capacità di autodeterminazione (ricordiamo tra i più importanti Ghost in the Shell (Kôkaku Kidôtai, 1995), Uomini e lupi (Hiroyuki Okiura , 1999) Memories (Koji Morimoto, 1995). Quando parliamo di crescita tecnologica, nel caso del Giappone, intendiamo soprattutto la bomba atomica.
Gran parte del cinema popolare, ma anche dei fumetti e dei media di intrattenimento, non ha mai dimenticato gli ordigni di Hiroshima e Nagasaki al punto da saperli elaborare in forme espressive non solo di alto valore autoriale come Children of Hiroshima (1952) di Kaneto Shindo, Hiroshima (1953) di Hideo Sekigawa, Le campagne di Nagasaki (1949) di Takashi Nagai e Non dimentico la canzone di Nagasaki (Tomotaka Tasaka, 1952)fino ad opere di intrattenimento ma che hanno avuto la forza di imporsi nell’immaginario collettivo come la serie cinematografica su Godzilla (il primo film è del 1954 di Ishiro Honda). La mutazione dei corpi è una tematica storicamente legata alla sfera del nucleare ed è centrale anche in Akira; i protagonisti delle vicende, Tetzuo e Kaneda, rappresentano rispettivamente la mutazione e la sua negazione. Se il corpo di Tetzuo arriverà a rappresentare il fulcro della mutazione, Kaneda incarna la lotta per la conservazione del tratto antropomorfo, una sorta di rivolta al controllo della nuda carne da parte del potere precostituito incarnato dal personaggio del colonnello. Akira, come opera generatrice della trilogia di Tetzuo, porta avanti il concetto di post-umanesimo in cui appare evidente che il concetto di “potere sovrannaturale” esce dall’orbita della fantascienza popolare di stampo marveliano per esprimere elementi e pratiche di controllo della sfera biologica umana.
In questa chiave, seguendo la linea di Enrico Ghezzi, vediamo come Akira si sottragga all’animazione in quanto la linea di demarcazione che divide la fantascienza dall’indagine sulla contemporaneità tende ad assottigliarsi in modo decisivo.
La struttura filosofica del film fin qui descritta si incastra alla perfezione con la riconoscibilità dei nostri protagonisti e delle loro vicende: le corse in moto ed in generale ciò che fanno è concreto non solo da un punto di vista narrativo ma anche come rilettura, in chiave cyberpunk, di un canone del cinema mondiale come il road movie (il pensiero corre direttamente a Easy Rider - Dennis Hopper, 1969). Akira diventa il punto di non ritorno dell’intera cinematografia d’animazione in quanto decostruisce in modo efficace la nostra capacità di immaginare il futuro attraverso immagini di stampo postmoderno.
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Claudio Suriani Filmmaker
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