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mercoledì 27 agosto 2025

LA KRISMA TV

Cinepeep ha affrontato più volte il rapporto tra immagine audiovisiva e tecnologia di riferimento ponendo l'accento sulla capacità di quest'ultima di influire sul senso generale dell'opera e di creare nuovi orizzonti di senso. E' seguendo questo sentiero che siamo andati alla ricerca di esperienze che ci portano ad aprire una nuova rubrica che chiameremo Audiovisivi ...e dintorni.



Il primo omaggio é dedicato a Krisma Tv.



I Chrisma (in seguito Krisma) sono stati una delle band italiane più radicali e innovative tra fine anni ’70 e ’80. Formata da Maurizio Arcieri e Christina Moser, attraversa più fasi mantenendo tuttavia un filo conduttore: la rottura delle convenzioni, tanto musicali quanto estetiche. Nome formato dalla crasi dei nomi dei due componenti, i Krisma nascono a Milano verso la fine degli anni'70, in pieno fermento punk e post-punk. La loro musica è caratterizzata da un'elettronica minimalista attraverso influenze Kraftwerk, Velvet Underground, disco sperimentale con un forte orientamento synth-pop e new wave punk abbracciandone lo stesso spirito di rottura: tagliare i ponti con il passato musicale italiano melodico, prog o cantautorale e rifiutare le convenzioni discografiche, in particolar modo nel primo disco Chinese Restaurant ( 1977) mantenendo profonde venature dark.




Inoltre, e qui veniamo al centro del nostro discorso, i Krisma si consideravano non solo musicisti ma comunicatori totali sfociando nel videoclip con montaggi veloci e ambientazioni surreali facendo emergere un fascino ambivalente per le macchine viste sia come strumento di libertà che di controllo sociale arrivando a esprimere un autentico stile.

Da questo universo tanto complesso e affascinante nasce il progetto della Krisma Tv.

La Krisma TV può essere letta come un perfetto terreno per il sublime tecnologico, dove la saturazione visiva e sonora travalica il semplice intrattenimento diventando un’esperienza estetica che sfida la percezione ordinaria proponendo il bello disinteressato che agisce come fine a sé, evocando un piacere universale senza scopi esterni. Krisma TV non cercava soltanto di piacere, ma di colpire, disorientare, spingendo lo spettatore a una forma di coinvolgimento sensoriale profondo.

Era l'invito a una partecipazione attiva dello spettatore.

In perfetta continuità con la loro esperienza musicale le immagini della Krisma TV rompono ogni forma di classicismo: non raccontano ma accadono, non promettono un senso unificato ma una pluralità frammentata dove ogni frame è un evento in sé al di fuori della narrazione classica. Krisma TV arriva a essere un sublime tecnologico in cui si manifesta una densità visiva e sonora nel bombardamento di pixel, glitch, loops, luci stroboscopiche: un’esperienza che non si interpreta, si vive.



Secondo Marshall McLuhan Il medium è il messaggio e la Krisma TV porta questo concetto al parossismo in quanto il contenuto è forma, tecnologia, ritmo, saturazione: non importa tanto cosa viene mostrato, ma come lo spettatore viene immerso in un flusso ipnotico che modifica il suo stato percettivo.

La TV diventa non un contenitore di messaggi ma un ambiente cognitivo distanziandosi così dall’arte tradizionale, che invita alla contemplazione.

Krisma TV pratica un’estetica immersiva: si avvicina più alla filosofia zen o al pensiero situazionista.

Non ti dice guarda e rifletti ma entra e perditi. La verità emerge come un effetto collaterale del viaggio sensoriale.

La Krisma TV è stata un laboratorio dove il pensiero estetico incontra la filosofia della tecnologia in quanto non cerca di rappresentare il mondo, ma di costruire un’esperienza che è già mondo.


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Claudio Suriani Filmmaker

domenica 3 agosto 2025

RACCONTO D'INVERNO (1992) DI ERIC ROHMER


 RACCONTO D'INVERNO (1992) DI ERIC ROHMER 

LA SEQUENZA INIZIALE


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martedì 4 marzo 2025

THE SUBSTANCE (2024) DI CORALIE FARGEAT. Un Freaks Show non convincente

  


 

 

Continua l’indagine sulla mutazione dei corpi.

Da Crimes of the Future (David Cronenberg, 2022) e il precedente Titane (Julia Ducournau, 2022) il body-horror è ormai sistemico in un cinema  che ambisce alla legittimazione critica attraversando in questo caso  il parallelismo nascita/disgregazione.

Grazie a Coralie Fargeat torniamo alle origini del progetto Cinepeep, nei meandri più oscuri della settima arte in cui il disgusto e la putrescenza vengono elevati a opera d’arte e strumento di lotta contro il politicamente corretto, cancro dell’audiovisivo contemporaneo … e forse non solo.

 

Ma The Substance ha una tale forza eversiva? 

 


 

 

Il film di Coralie Fargeat (francese come Julia Ducournau) è un connubio tra il dissacrante attacco al potere di Society;The Horror, Brian Yuzna, 1989 e l’indagine sul potere alienante dell’audiovisivo di  Videodrome, David Cronenberg, 1983,  con una sequenza ispirata, in modo fin troppo evidente, a Carrie; lo sguardo di Satana, Brian De Palma, 1976. Altri temi centrali sono la tematica del doppio ispirata a Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde o Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson oltre alla critica sul taglio patriarcale e la mercificazione del corpo femminile.

 

L'articolo continua al link: https://www.cinepeep.org/home/cinema-horror/the-substance-2024-di-coralie-fargeat

mercoledì 12 febbraio 2025

NOSFERATU (2024) DI ROBERT EGGERS Uno stucchevole esercizio di stile.


 Nosferatu è una delle più grandi delusioni di quest’anno, delusione che ha origine dalle grandi aspettative su Robert Eggers dopo opere come The Witch e The Lighthouse… di The Northman   abbiamo ampiamente parlato.

Il giovane regista newyorkese ha imbastito una messa in scena ridondante che stride fortemente con l’immaginario della figura del vampiro degli anni venti, metafora di tragedie contemporanee e tradisce il desiderio stesso di Eggers di reinventare il cinema del passato in chiave postmoderna specie per la caduta del discrimine tra cultura popolare e cultura alta… e qualcuno prima o poi si prenderà l’onere di spiegarlo.

 

Andiamo per ordine: Siegfried Kracauer in Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco (Lindau, 2007) mette in luce come il cinema della repubblica di Weimar raccontava l’inconscio collettivo del popolo tedesco che prefigurava l’avvento del nazismo; Nosferatu di F. Murnau emerge come una delle grandi metafore delle paure di un’epoca che si avviava verso la catastrofe della guerra, immaginario che viene confermato da un’altra opera monumento del cinema tedesco come M, il mostro di Dusseldorf  (Fritz Lang 1931) in cui emerge il tema dei criminali al potere.

Tuttavia il rapporto tra la peste e la guerra (o i processi sommari) o tra vampirismo e dittatura non ha più ragione di essere nel momento in cui non solo la Germania ha elaborato il proprio passato (a differenza dell’Italia) ma a livello cinematografico il tema del vampirismo è stato destrutturato aprendolo a diverse interpretazioni: dalla commedia (Per favore, non mordermi sul collo, Roman Polanski, 1966) ad opere adolescenziali (l’intera saga di Twilight) … persino i cartoni animati.

L’opera di Eggers impatta nell’assenza di un sottotesto aperto alla contemporaneità: il suo limite nasce proprio dal voler riproporre uno schema narrativo incapace oggi di portare con sé un immaginario legato alla società dei primi del novecento al contrario di Solo gli amanti sopravvivono (Jim Jarmush 2013) in cui emerge lo spettro dei nostri giorni.

 

 Oggi ciò che fa più paura non è il mostro (specie quello classico) ma il viscerale senso di solitudine dell’uomo moderno… una quieta disperazione del tutto priva di enfasi … Adam ne è un esempio perfetto.

 

Se il cinema di Murnau era saturo di un fuori campo ricco di sogni e presentimenti (non solo nel Nosferatu ma anche in capolavori come Faust del 1926 o Aurora del 1927) in Eggers l’opera è tutta in campo eliminando ogni possibile atto critico/interpretativo dello spettatore e nel momento in cui tutto ci è posto su di un piatto d’argento la domanda è: questo grande sforzo produttivo cos’ha aggiunto all’immaginario sui vampiri, alla carriera di Eggers e al cinema in generale? Che il regista newyorkese possiede una grande tecnica cinematografica? Non solo già lo sapevamo ma Nosferatu è l’ennesima conferma che un’opera (soprattutto nel cinema horror) priva di sottotesti si infrange contro il muro del già visto e già sentito.

 

Eggers attraverso il Nosferatu ha voluto intraprendere una strada troppo più grande di sé: il voler uccidere i propri maestri sfociando in un formalismo estetizzate privo di interesse…è come se  raccontasse molto più dello stesso Eggers che del Conte Orlok specie se si riflette sul desiderio dello stesso di affrontare i classici dell’orrore: è forse  questa lotta iconoclasta che priva il vampiro di quell’eleganza che è propria del suo personaggio?

 

Da Murnau a Herzog, passando per Tod Browning fino a Jarmush la raffinatezza è sempre stata una componente essenziale del vampiro capace di creare contrasto interno tra i modi esteriori e l’orrore di cui esso è portatore. Tuttavia non si può negare che questo desiderio di emancipazione di Eggers dai suoi stessi padri lo ha portato a sbagliare l’iconografia del personaggio non solo perché ci appare come Frankestein, storico alter-ego del Conte Dracula, ma a livello formale realizza un’opera dal taglio classico che vi si richiama fallendo in pieno questa (possibile) emancipazione.

 

Avendo amato profondamente le prime due opere di Eggers (soprattutto The Lighthouse) mi auguro che il regista americano porti avanti questa sua lotta interiore ma che abbandoni questa sterile riproposizione dei classici dell’orrore per esprimerla in opere nuove che rappresentino in pieno il suo grande potenziale registico … e forse autoriale.


Claudio Suriani Filmmaker


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domenica 12 gennaio 2025

JOKER: FOLIE A DEUX ( 2024 ) di todd PHILLIPS - Lee smetti di cantare

Vengo subito al punto. Joker: Folie à Deux è un'opera priva di struttura narrativa coerente che soffre in modo evidente la forza quasi prevaricante di una pop star come Lady Gaga. E' un legal drama all'Anatomia di una caduta (Justine Triet, 2023)? E' un musical stile Annette ( Leos Carax 2021) o un ibrido tra i due generi cinematografici? La mia idea è che Todd Philipps abbia voluto esplorare un mondo cinematografico complesso come quello del musical realizzando un lavoro estremamente prolisso e quindi meno efficace del primo, quello del 2019 che già manifestava delle criticità.





E in più aggiungiamo la presenza di Lady Gaga (artista mainstream per eccellenza che mai avrebbe accettato un ruolo da comprimaria) e ci accorgiamo non solo di come il film si perda in stacchi musicali spesso superflui e decontestualizzati dalle vicende narrate ma come la scelta degli attori non sia mai ininfluente invadendo in campo l'intero immaginario legato a quell'artista (quando alla fine Arthur le dice Lee smetti di cantare suona quasi come una liberazione) con il sospetto che tali questioni possano essere derivare da un'imposizione dell'artista americana da parte della produzione facendo perdere a Todd Philips l'appellativo di autore.

Inoltre sia l'indagine psicologica sul personaggio di Arthur che lo sviluppo del legal drama risulta di una banalità sconcertante: nel primo caso emerge che i crimini di Arthur nascono dai suoi traumi infantili e in aula ciò che poteva rappresentare un momento di rottura decisivo (la scelta di Arthur di auto rappresentarsi) si sviluppa come la messa in scena di un clown che non riesce né a far ridere né a turbare lo spettatore (a fronte dei capolavori prodotti su questo tema come 


 ( Victor Sjostrom 1924) o opere trash come Killer Klowns from Outher Space (Stephen Chiodo, 1988) che tuttavia influenzò profondamente la cultura underground (come la band punk rock Killer klows di Torino).

Joker non ha la forza di imporsi come grande saga cinematografica (a differenza di AlienMad MaxIndiana JonesStar Wars ecc ...) e consiglierei a Todd Philips di concentrarsi su progetti in linea con la sua capacità di creare nuovi mondi e rinunciare a ripercorrere in modo sbiadito le strade aperte da altri.


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 Claudio Suriani Filmmaker

giovedì 21 novembre 2024

ENYS MEN ( Mark Jenkin 2022 ) - Fantasmi dalla Cornovaglia




#EnysMen #Horror #FolkHorror

Enys Men ( Mark Jenkin, 2022) fu proiettato in anteprima nella sezione Quinzaine des Realisateurs del festival di Cannes del 2022 e si impose da subito nella sua essenza satura di simbolismo che affonda le proprie radici nella cultura pagana e animistica in cui la natura assume un valore religioso. E' un opera che si discosta dal canonico Folk- Horror soprattutto per influenze che vanno dal documentario al mystery movie.

Enys Men narra le vicende di Mary Woodvine, una botanica che studia l'evoluzione di un fiore raro in un'isola della Cornovaglia caratterizzata dall'assenza quasi totale di vegetazione e capace di trasmettere un forte senso di solitudine.
Abbiamo visto in numerosi casi come la solitudine nel cinema (e non solo) rappresenti la genesi di uno sguardo perturbante: non solo l'unico legame della protagonista con il mondo è legato a un fragile contatto radio ma la natura ostile del paesaggio la priva di ogni possibilità di fuga materiale e spirituale dalla sua condizione.

Se lo spettatore si approccia ad Enys Men per vivere un'esperienza stile The Wicker Man ( Robin Hardy, 1973) rimarrà deluso in quanto è un'opera dal forte valore sperimentale che fonde il cinema documentaristico di Herzog con alcune delle opere più significative del mistery cinema come Picnic ad Hanging Rock (Peter Weir, 1975) e The Lighthouse (Rober Heggers, 2019) arrivando a rappresentare un universo in cui le coordinate spazio-temporali si sottraggono per dar spazio a figure dal forte valore fantasmatico in un dialogo aperto con le opere citate.

Enys Men inoltre è caratterizzato da una fotografia stile pellicola anni settanta portandolo verso il found footage che, forse per la prima volta, si apre a numerose influenze ( sia narrative che visive ) dando nuova linfa vitale a uno stile che fino a oggi non aveva più nulla da dire.

Enys Men è sicuramente una delle opere più interessanti uscite negli ultimi anni capace di cercare nuove forme espressive senza il facile apprezzamento di un pubblico ormai assuefatto alla banalità corrosiva. 


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 Claudio Suriani Filmmaker

lunedì 11 novembre 2024

MISERICORDIA (2023) DI EMMA DANTE IL CINEMA DELLA CATARSI MANCATA


 

La catarsi è un atto di liberazione spirituale che produce eventi. Per Aristotele era il risultato della tragedia classica sugli spettatori e ci accorgiamo di come Misericordia ( Emma Dante, 2023) cerca di percorrere tale sentiero fallace tuttavia proprio nel finale … momento catartico per eccellenza. Al termine della visione sorge il tragico sospetto che le regole commerciali delle produzioni Rai Cinema abbiano influenzato il lavoro di una delle registe più importanti del panorama culturale contemporaneo. E dire che per la sua intera durata Misericordia si impone come un’opera dall’altissima forza comunicativa: è una storia di degrado in cui la disabilità di Arturo, nonostante i suoi gravi effetti sulle sue facoltà mentali, lo porta a incarnare quel ruolo di personaggio guida, ultima realtà di un orizzonte privo di un qual si voglia futuro. Emergono numerosi riferimenti a importanti opere cinematografiche: lo spazio urbano devastato di Gummo (Harmony Korine, 1997), bambini dalle sembianze minacciose simili ai protagonisti di opere come Anche i nani hanno cominciato da piccoli (Werner Herzog, 1970) senza dimenticare il grande cinema italiano in cui appare un chiaro riferimento a Brutti, sporchi e cattivi (Ettore Scola, 1976) privo tuttavia di quella profonda ironia che caratterizzava il capolavoro del maestro. Allargando all’intera opera ci accorgiamo di come manchi di coerenza strutturale. Se nell’opera di Ettore Scola l’ironia è una costante dell'intero film realizzando un capolavoro di perfetta fusione di orizzonti divergenti, in Misericordia il finale è un corpo estrano rispetto all’universo rappresentato incapace di realizzare l’effetto shock a cui avrebbe potuto ambire: Arturo ci appare come una creatura mitologica, metà adulto e metà bambino identificato in psicologia con il termine Puer aeternum (per un approfondimento rimandiamo ad opere come La psicologia dell'archetipo del bambino di Carl Gustav Jung (articolo contenuto nella quarta parte di Archetipi e inconscio collettivo (Opere, volume 9) e Il problema del Puer Aeternus di Marie-Louise von Franz (1950).


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 Claudio Suriani Filmmaker

lunedì 4 novembre 2024

Audition - Grottesco, onirico, violento.

 
 





"Per me, Audition non è un horror. O almeno, non c’è un mostro, non è soprannaturale. È la storia di una ragazza che prova solamente delle emozioni leggermente strane, quindi non è impossibile capirla. Vuole solo che la persona che ama stia al suo fianco. Non commette un grosso crimine, si limita a tagliare il piede del tizio. Ma quando lessi il romanzo, rimasi davvero spaventato. Sentii che era così realistico … Tra i due personaggi non c’è conflitto. Si incontrano brevemente al provino, ma incidenti così piccoli possono cambiare completamente la vita di una persona. Ho accentuato un po’ di più l’aspetto orrorifico. Nei film del terrore, pensiamo che l’elemento horror sia una cosa speciale che non esiste nella vita reale ed è per questo che possiamo godercela. Ma ci sono anche cose terrificanti nella vita e sono tutte opera degli esseri umani. Ciascuno ha quelle cose dentro di sé. Quindi, filmando degli esseri umani, diventa in modo naturale un film dell’orrore. In Audition, se l’attrice protagonista non fosse stata Eihi Shiina [interprete dell’algda Asami Yamazaki] il film sarebbe stato molto diverso. Sorride quando taglia il piede, e di conseguenza quel momento diventa puro orrore. Se un’altra attrice lo avesse fatto molto seriamente e brutalmente, allora non sarebbe diventato orrore." . (Takahi Miike).


Claudio Suriani Filmmaker
 
 
 
 
 

lunedì 27 maggio 2024

LA ZONA D’INTERESSE (2023) DI JONATHAN GLAZER – La normalizzazione degli orrori del mondo




La zona d’interesse (Jonathan Glazer, 2023) necessita di un’introduzione propedeutica.


La Shoah è un evento storico che s’impone da sé in quanto la sua elaborazione e memoria portò alle estreme conseguenze determinati aspetti della contemporaneità oggi ancora vivi che potremmo riassumere nella filosofia a cui Michel Foucault e in Italia Roberto Esposito e Giorgio Agamben diedero il nome di Biopolitica.

Questo allargamento della riflessione ci permette non solo di riattualizzare l’Olocausto (soprattutto a causa dei mutati rapporti di forza nel panorama geopolitico mondiale) ma anche di evitare una facile deriva retorica costantemente presente quando si affrontano queste tematiche. Come mettere in relazione la catastrofe del passato (non così remoto) con quelle di oggi?  Ci rivolgiamo al filosofo sloveno Slavoj Žižek e alla sua analisi. Žižek in una lunga video-intervista rilasciata a Enrico Ghezzi nella serie Parola (su una) data (una videocosa, per riprendere un termine caro al critico italiano) affronta il tema della catastrofe arrivando a distinguere La catastrofe visibile da quella invisibile, ponendo l’accento sulla seconda (citando come esempio Cernobyl) come elemento caratterizzante del mondo a venire in quando inelaborabile in immagine.

 

La zona d’interesse sembra prendere vita proprio da tale concetto e dall’assunto teorico di Claude Lanzmann in Shoah (Tascabili Bompiani, 2000): In un certo senso si può affermare che nessuno sia mai stato ad Auschwitz perché coloro che vi sono stati deportati e che sono morti subito, in realtà … non hanno fatto in tempo a sapere ciò che c’era.

Jonathan Glazer mette in scena la vita quotidiana della famiglia Hoss che vive in una casa a ridosso del campo di sterminio di Auschwitz, attribuendo un ruolo di primissimo piano al sonoro proveniente dal campo e alle immagini che lo stesso suggerisce allo spettatore o che (non) suggerisce agli inquilini di casa Hoss in cui si vive secondo una quotidianità ben strutturata tipica del Terzo Reich. Assistiamo a un processo di privazione deliberata della realtà, un fuori campo che sfocia in un’oppressione anestetizzante che, tuttavia, non arriverà mai alla coscienza degli inquilini di casa Hoss sottoforma di trauma.

E’ come se la Shoah non esistesse in quanto ogni elemento del contesto concentrazionario attua, o subisce, la privazione dello sguardo sulla camera a gas e il crematorio … un destino che accomunerà vittime e carnefici da due prospettive diametralmente diversei primi persero la vita mentre i secondi, la capacità di portare a coscienza l’orrore.

 



Negare lo sguardo significa relegare tali eventi al di fuori della storia rendendo tali traumi fuori da ogni possibilità elaborativa personale e/o storica. La zona di interesse era unarea di quaranta metri quadrati adiacente al perimento dei campi, una sorta di zona cuscinetto che doveva impedire ai cittadini delle zone abitate di entrarvi in contatto, in particolar modo con i prigionieri e in cui i protagonisti del film convergono le proprie attenzioni quotidiane come un orto e un giardino ben curato ...

Casa Hoss viene vissuta dai suoi inquilini come un paradiso come dimostra la sofferenza della Sg.ra Hoss alla notizia del trasferimento del marito. E’ un paradiso che tuttavia si basa sempre sul principio della selezione e che in La zona dinteresse ci appare come l’elemento chiave dell’intera pellicola. E’ come se in ogni inquadratura ci sia una sorta di lavoro interno al visibile capace di svilupparsi a diversi livelli: il primo è strettamente concettuale in quanto il paradiso di casa Hoss ci appare profondamente inquietante, il secondo è capace di lavorare sul sensibile rendendo questo sentimento perturbante, chiave per far travalicare il fuori campo nella dimensione del visibile. Azzarderei che Glazer non riesce ad avere un pieno controllo sugli effetti del fuori campo ma cerca di assecondarlo creando un’opera, nella sua alta drammaticità, satura di una libertà stilistica capace di dare un contributo innovativo alla tradizione cinematografica sulla Shoah.

Inoltre, se questa ha tra le sue tematiche la privazione (o selezione) dello sguardo, tale processo da sempre è stato convertito dal cinema in una separazione tra l’opera e la sala: a questo punto si impone una questione puramente cinematografica. Abbiamo visto in altri articoli come l’orrore perda efficacia nel momento del suo manifestarsiconcetto valido sia per il cinema horror sia per l’orrore di carattere storico. Tuttavia se nell’horror cinematografico l’orrore celato ci conduce verso una tensione di tipo hitchcockiana in cui è più corretto parlare di terrore, in La zona dinteresse è la negazione stessa dello sguardo a risultare unazione violenta capace di condurre lo spettatore in quella zona grigia tipica dei burocrati nazisti.

In La zona d’interesse l’orrore della storia si apre in un mondo chiuso in se stesso che, tuttavia, impedisce allo spettatore di cadere in quel meccanismo anestetizzante dell’intrattenimento tipico del cinema di consumo.

 

Non è azzardato affermare che La zona d’interesse non sia un film sulla memoria ma su quei processi culturali e psicologici che portano l’essere umano a normalizzare gli orrori del mondo rendendolo, oggi, non  così diverso dagli inquilini di casa Hoss.


 Claudio Suriani Filmmaker

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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