Il documentario nella
sua storia ci è sempre stato proposto come un filone audiovisivo separato dal
cinema, causa un approccio di tipo manualistico che a oggi ha perso ogni
fondamento in quanto non solo il variegato universo sperimentale è andato ben
oltre il cinema narrativo ma lo stesso racconto della realtà è diventato
un tutt’uno con il cinema meainstrem a partire da opere come F come falso
(Orson Welles, 1973) fino alla sua esplosione nel cinema horror. Nonostante negli esempi citati la fusione tra realtà
e finzione sia dichiarata è pur vero che ogni volta che nasce una nuova forma
espressiva (di tipo narrativo o figurativo) essa diventa istantaneamente prassi, come se nel cinema il concetto di novità non
potesse imporsi in modo
duraturo. La Regina
di Casetta vive di questa tensione interna: narra la vita di Casetta di
Tiara, un piccolo borgo dell’alto Mugello destinato a quel fenomeno tipicamente
italiano dello spopolamento dei piccoli borghi; Gregoria è l’unica
adolescente e anche lei, con la sua famiglia, è destinata a lasciare Casetta per
poter frequentare, da settembre, il liceo.
Attraverso un racconto fatto di
gesti quotidiani e di una vita capace ancora di ruotare attorno ai cicli
naturali della vita (come la raccolta delle castagne, la caccia al cinghiale o
la neve d’inverno) un’opera come La Regina di Casetta riesce a
rappresentare il cinema nella sua dimensione archeologica con la messa in scena
del tempo e il cinema come archivio del mondo. Se in La Regina di Casetta
appare fortissima l’influenza del cinema documentario di Werner Herzog, è pur
vero che tale approccio è declinato in modo diverso; se l’intera opera
dell’autore tedesco sembra percorrere due strade parallele (come fiction e
documentario) Francesco Fei, nel desidero di
rendere in modo veritiero la vita della giovane protagonista e della sua
piccola comunità, non riesce a cogliere la vita sul fatto (come il
cinema russo anni venti ci ha insegnato) arrivando a fondere involontariamente
realtà e finzione in quanto non solo tutti fingiamo davanti a un obbiettivo ma
ogni decisione formale rappresenta, sempre, una scelta soggettiva dell’autore.
Eppure cos’è che rende così affascinate quest’opera? E’ la messa in scena di un
tempo ormai rivolto al declino. Andrej
Tarkovskij nel suo volume Scolpire il tempo (Ubulibri, a cura di Vittorio
Nadai, Pag. 54) afferma che … per la prima volta nella storia dell'arte e
per la prima volta nella storia della cultura, l'uomo trovò il mezzo per
registrare direttamente il tempo. E contemporaneamente, trovò la possibilità
di riprodurre a piacimento lo scorrere di questo tempo sullo schermo, di
ripeterlo, di ritornare a esso. L'uomo ricevette così nelle proprie mani la
matrice del tempo reale. Una volta visto e impresso sulla pellicola, da quel
momento poté essere conservato a lungo, registrato nelle sue forme e
manifestazioni fattuali e questa è secondo me, l'idea fondamentale del cinema e
dell'arte cinematografica. Questa idea mi consente di
pensare alla sua ricchezza di possibilità non sfruttate, al suo sconfinato
futuro. Ed è partendo da essa che costruisco le mie ipotesi di lavoro.
Attraverso la vicenda di Gregoria Francesco Fei realizza un’opera caratterizzata da temporalità conflittuali: ci narra un tempo presente in cui da una parte sopravvivono ritualità dal sapore pagano ma dall’altro è divenuto incapace di costruire una nuova storia per Gregoria e per la sua piccola comunità. Qui il fuoricampo della grande metropoli entra prepotentemente in gioco come elemento determinante sia per lo sviluppo narrativo che per il senso generale dell’opera. La Regina di Casetta non è un documentario dal sapore antropologico (come erroneamente è stato definito) ma uno sguardo malinconico su una comunità destinata a scomparire portando con sé l’infinito bagaglio di culture e tradizioni centenarie…è come se Francesco Fei volesse rendere omaggio a questo piccolo ma importante borgo per l’opera di scrittori come Dino Campana e Sibilla Alemaro e per esser stato teatro di importanti lotte partigiane (come riportato nel volume Appuntamento a Casetta di Tiara – Serena Cinque, Michele Geroni, Sarnus editore) senza poter sfuggire a un sottile, ma profondo senso di malinconia per un mondo destinato a sparire per sempre.
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Claudio Suriani Filmmaker
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