Chiariti tali presupposti C’è ancora domani, opera prima di Paola Cortellesi, dimostra il potenziale (parola densa di significato) registico dell’artista romana. Al termine della visione ciò che appare evidente è non solo il desiderio di portare a compimento la propria idea di cinema (nel grigiume del cinema italiano contemporaneo – quanto meno delle opere di successo – è senz’altro positivo) ma anche omaggiare la grande stagione del cinema neorealista (consapevole?) anche attraverso l’utilizzo di immagini di repertorio dell’Istituto Luce. Nonostante sia un’opera che dimostri un grande trasporto umano verso la condizione della donna nel nostro paese (mai cambiata in modo sostanziale) la nota di merito essenziale che desidero sottolineare non è tanto questa ma la ricerca personale che allontana l’ombra del marito Riccardo Milani dal ruolo simile a quello che Sergio Leone ebbe col Carlo Verdone degli esordi.
Ma esistono anche elementi di criticità.
Non posso affermare con certezza se sia da imputare alla Cortellesi o a imposizioni produttive tipiche del cinema italiano che ormai da anni, eccetto pochi casi (come la regista Alina Marazzi restando in ambito femminile) lavora contro la libertà stilistica (al contrario, del cinema orientale) quindi li metterò in evidenza sospendendo il giudizio.
Il primo aspetto è la colonna sonora: le musiche di Daniele Marchitelli (in arte Lele) sono in aperto contrasto con l’universo raccontato: un mondo fatto di violenza, di umiliazioni quotidiane ma anche di sofferenza e traumi inelaborati personali e collettivi… ricordiamo che siamo nell’immediato dopo guerra. La storia del cinema è carica di compositori che riuscivano a esprimere a pieno l’immaginario visivo dei registi per cui lavoravano (si pensi a Nino Rota per Federico Fellini o Angelo Badalamenti per David Lynch). Se l’intento di tale scelta era creare una sorta di shock nello spettatore non si è rivelata efficace in quanto nonostante la violenza subita da Delia sia quotidiana (al punto che anche il padre di Ivano sembra ribellarsi) Paola Cortellesi fa una scelta di campo chiara: mostrarla il meno possibile (in molte sequenze infatti è immaginata e non mostrata). Se l’inferno della protagonista emerge da una quotidianità divenuta ormai insopportabile ciò non consente alle musiche spensierate di Lele Marchitelli di creare quello shock estetico che (forse) la Cortellesi cercava (per comprendere meglio il concetto si pensi ad un film come Eraserhead: la mente che cancella – David Lynch, 1977 - e alla sua musica finale).
Questo è vale anche per le due sequenze di danza nel pieno della volgare violenza di Ivano.
Se un film come La vita é bella (Roberto Benigni, 1997) fu definito da Liliana Segre non realistico, nei confronti di C’è ancora domani vale lo stesso criterio: queste due sequenze rendono giustizia alle vittime di oggi? Inoltre, nel decidere di affrontare un tema drammaticamente attuale come la violenza sulle donne attraverso l’immaginario del neorealismo (scelta in partenza efficace) perché distaccarsi dai dettami estetici di una vera e propria scuola che così tanto ha dato al cinema italiano (e non solo) rappresentando a pieno la realtà per ciò che era?
Per concludere credo che le strade siano due: se da una parte un film come C’è ancora domani ci comunica che ogni scuola cinematografica è figlia del proprio tempo e cercare di replicarla a distanza di sessant’anni (neanche in modo del tutto fedele) possa risultare un’operazione di maniera, dall’altra, e torno al punto di partenza, una simile opera prima trasmette il desiderio (anche questo un termine saturo di significato) da parte di una giovane artista di mostrare al mondo le sue capacità (aspirazione del tutto legittima) cercando anche la propria identità registica … aspetto centrale per imporsi come autrice e non come regista mestierante.
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Claudio Suriani Filmmaker
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