Il panorama delle serie tv netflix original spesso propone titoli che, senza ambire allo status di capolavoro assoluto, si impongono come prodotti seriali di buona qualità gradevoli da vedere: La regina di scacchi ne è un perfetto esempio.
La trama è la seguente: Elisabeth (Beth) dopo la morte della madre verrà affidata a un collegio femminile; in questo centro scoprirà l’amore per gli scacchi grazie al custode (il signor Shaibel) della struttura e, grazie a ciò, riuscirà a riscattare la propria vita arrivando a vincere il titolo mondiale. Fin dal primo episodio riusciamo ad apprezzare diversi fattori: il primo è la forza di immedesimazione nei personaggi e in particolare nella protagonista in quanto sono ben delineati dal punto di vista psicologico senza arrivare mai a essere pedanti o prolissi. Se analizziamo il personaggio di Beth scopriamo una narrazione che non sfocia mai in situazioni cariche di pathos in cui la regia possa sovrastare il personaggio. Anche nelle vicende più dolorose (come la morte della madre adottiva di Beth) il racconto si sorregge su un equilibrio che ben rappresenta l’animo e la psiche della nostra protagonista.
Beth negli scacchi non trova semplicemente una passione ma il mezzo perfetto per elaborare i propri traumi e relegarli in una condizione di controllo assoluto. Ma accadono eventi in cui il controllo totale sulla propria vita sembra deteriorarsi, notevole incremento di complessità nelle pieghe narrative e quindi nel livello qualitativo dell’intero prodotto.
Negli ultimi episodi Beth ha una profonda crisi esistenziale che la porterà verso una breve deriva alcolista. E’un passaggio decisivo nella storia e ci si rammarica che non sia stato approfondito a dovere.
Le mini serie come La regina di scacchi se da un lato fuggono dal rischio di essere prolisse come può essere accaduto ad alcune antesignane (si pensi ad X-Files ) dall’altro hanno il dovere di delineare in modo efficace tutti gli elementi e le vicende dei protagonisti, specialmente i punti di rottura della narrazione. Se l’intero corpus degli episodi si regge sulla capacità degli scacchi di dare alla protagonista due qualità fondamentali per la sua emancipazione – l’autocontrollo da una parte e l’elaborazione del lutto dall’altra – è pur vero che un punto di rottura nella storia necessita di una descrizione approfondita degli effetti sulla protagonista e sul suo intero mondo: sarebbero bastati un paio di episodi in più per farci vivere a pieno questo passaggio decisivo.
Se la crisi di Beth è uno dei punti deboli dell’intera storia, la sequenza del suo ritorno nel collegio rappresenta invece un punto di svolta efficace nell’animo della protagonista: scendendo nello scantinato dove giocava a scacchi con il signor Shaibel nota che quest’ultimo aveva conservato tutti gli articoli di giornale delle sue vittorie nei vari tornei nel mondo. In quel momento Beth si apre a un pianto catartico: per la prima volta il suo passato non le torna indietro come un trauma inelaborato (come la morte della madre biologica o l’abbandono del padre in tenera età) ma sotto forma d’amore nei confronti di una delle persone più importanti della sua vita. Da questo evento liberatorio si dipaneranno nuove trame determinanti per la sua vita che la condurranno verso un finale narrativamente aperto.
Nonostante La regina di scacchi non sia un capolavoro in senso stretto in quanto non crea un’idea di narrazione televisiva (a differenza di Heimat o I segreti di Twin Peaks) una volta conclusa lascia la sensazione piacevole di aver visto un’opera di qualità capace di arricchire in modo discreto e pregevole.
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