
Il
nuovo film di Daniel Kwan e Daniel Scheinert, vincitore di dieci
statuette agli Oscar 2023, si sta imponendo come uno dei film più
importanti degli ultimi anni non solo per il riscontro della critica ma
anche per la sua capacità di rinnovare il linguaggio cinematografico. Dopo
la prima visione, decisamente faticosa, ho intuito che per entrare nei
meccanismi dell’opera dovevo rivolgermi a Carlo Rovelli e alla sua
opera Sette brevi lezioni di fisica. Nonostante Everything everywhere all at once sia
una delle opere più visionarie degli ultimi anni (e forse dell’intera
storia del cinema) nel momento in cui siamo chiamati a rendere
sistematica questa forza visionaria scopriamo con profondo piacere che
la capacità di guardare oltre non è in antitesi con un approccio scientifico. Rovelli: …la scienza, prima di essere esperimenti, misure, matematica, deduzioni rigorose, è soprattutto visioni.
La forza dell’immaginazione è da sempre ciò che spinge l’essere umano a
un impegno sistematico per provare o smentire (in una parola creare) la
propria visione del mondo che da sempre accomuna scienza e arte.
In Everything everywhere all at once tutto ruota intorno all’universo e alle leggi che lo animano. Nella terza lezione intitolata L’architettura del cosmo Rovelli afferma che … esistono
quindi migliaia di miliardi di miliardi di pianeti come la Terra
nell’universo. E in ogni direzione si guardi questo è ciò che appare.
Fin dalle origini il cinema ha seguito due indirizzi generali: il
desiderio di raccontare diversi livelli di realà ( dinamica che possiamo
già trovare in George Melies con Il viaggio sulla luna
del 1902 per citare il più famoso) e la necessità di filmare il mondo
allo scopo di documentarlo con approcci antropologici, come
nell’archivio di Alber Kahn.
Nel
corso degli anni questo dualismo si è molto assottigliato e ogni autore
ha sviluppato la propria visione di mondo in modo del tutto personale.
Oggi il cinema e l’audiovisivo in generale sono un insieme eterogeneo:
la visione immersiva della sala è diversa, se non opposta, a quella
delle piattaforme streaming nelle quali lo spettatore entra a piene mani
nell’opera stessa stoppando e creando dei montaggi involontari e
infiniti collegamenti in quanto la rete non conosce titoli di testa e di
coda.
Everything everywhere all at once punta a mettere in scena queste galassie interconnese non da regole prestabilite ma dal caso.
Nel film la versione alphaverso di Weymond (Ke Huy Quan) spiega a
Evelyn (Michelle Yeoh) che solo attraverso azioni casuali prive di senso
le permetteranno di accedere ai diversi universi possibili, e Rovelli
ci spiega come il caso sia una vera e propria componete della fisica
(teorizzata da Ludwig Boltzmann) capace di spiegare perché il calore
tende a muoversi verso il freddo (e non viceversa).
Brevemente:
il calore nel passaggio dal caldo al freddo non risponde a regole
universali fisse ma lavora per grande probabilità influendo direttamente
sulle dinamiche del tempo. Rovelli chiarisce che quando non c’è scambio
di calore (causato dall’attrito degli atomi) il futuro si comporta
esattamente come il passato, ma quando gli atomi si muovono dando vita
ad un contrasto capace di generare calore, futuro e passato divergono.
Questo è un passaggio decisivo in Everything everywhere all at once:
il primo approdo di Evelyn nel multiverso le fa rivivere la propria
vita così come la ricorda anche se il personaggio di Deirdre Beaubeirdre
(Jamie Lee Curtis) le appare da subito come conflittuale … una
conflittualità destinata a crescere in modo esponenziale. In Everything everywhere all at once
il conflitto, da un punto di vista narrativo, non è unidirezionale ma
si sviluppa dal punto di vista di ogni personaggio: non solo la figlia
Joy diventerà la terribile Jobu Tubaki
(un agente del chaos) ma ogni singola comparsa diventerà un elemento
capace di influenzare l’approdo dei protagonisti nell’infinita galassia
del multiverso. La violenza (o attrito per dirla con Rovelli) in Everything everywhere all at once diventa
la rappresentazione del movimento atomico nello spazio capace di
influenzare le dinamiche del calore ma, soprattutto, del tempo.
Questo
ci porta direttamente alla legge generale della relatività in quanto lo
spazio non è un ambiente neutro ma qualcosa di dinamico e se tale
dinamicità è invisibile dal punto di vita fisico in Everything everywhere all at once diviene
il punto centrale dell’intera opera riuscendo a mettere in relazione il
più piccolo granello di polvere con il macrocosmo in un vortice di
interconnessioni talmente veloci da mettere a dura prova lo
spettatore…specialmente durante la prima visione. Le interconnessioni di
cui stiamo parlando non si riferiscono solo al continuo passaggio nei
diversi universi possibili ma anche alla natura stessa dei protagonisti:
Evelyn e Joy passano dall’essere persone, disegni elementari di
bambini, pignatte appese pronte per essere rotte fino a sassi inanimati
in un mondo privo di vita.
Le
forme di vita messe in scena da Kwan e Scheinert vanno dal grottesco,
come avere dei wuster al posto delle dita, al rammarico, come una
carriera di successo nel caso in cui Evelyn e Weymond non si fossero
sposati, in una rappresentazione dell’universo(i) che riesce a essere al
tempo stesso complessa e autoironica.
Consideriamo Jobu Tupaki e il suo universo racchiuso in un Bagel.
Questo elemento, apparentemente autoironico, non può che rifarsi alla gravità quantistica a loop,
teoria della fisica contemporanea capace di unire la relatività
generale con la meccanica quantistica, leggi che regolano l’universo
apparentemente contrapposte (per un approfondimento rimando alla quinta
delle Sette brevi lezioni di fisica).
Il bagel (una ciambella) di Jobu Tupaki è il punto di congiunzione, da
li ogni singolo atomo della vita nasce per poi morire divenendo la legge
finale di ogni elemento.
Ci sarebbero ancora moltissime cose da dire…ma le regole generali che animano Everything everywhere all at once
spero siano delineate. Scienza, arte e una profonda autoironia fusi a
livelli altissimi: sono sicuro che si imporrà come uno dei film più
importanti degli anni duemila.
Naturalmente questa non è l’unica interpretazione del funzionamento dell’universo…Ma questa è un’altra storia.
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https://www.cinepeep.net/cinema-americano/everything-everywhere-all-at-once-2022-daniel-kwan-e-daniel-scheinert
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Claudio Suriani Filmmaker
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