Entrai in contatto con The Kids molti anni fa e già allora lo reputai un film mediocre.
Nonostante sia un amante della cultura underground (cinematografica e musicale) fin dalla prima visione del film di Lerry Clarke non riuscivo a entrare in empatia con i giovani protagonisti e con le loro (non) avventure totalmente prive d’interesse per me. Il sesso, la droga e la violenza, che a detta della critica meainstream dovrebbero rappresentare la vita giovanile delle periferie americane, per l’intera durata del film non si ergono mai a un potere rappresentativo di una generazione o di uno spaccato sociale.
Siamo agli inizi degli anni novanta e nei bassifondi americani imperversa la rivoluzione del Punk Hardcore (svolta stilistica del punk rock che portò il genere verso un’estremizzazione delle tematiche e delle sonorità) mentre a livello cinematografico gli autori nati in contesti d’avanguardia riuscivano a imporsi al grande pubblico conservando tuttavia una forte marca autoriale (si pensi al successo televisivo di David Lynch con Twin Peaks, Jim Jarmush con opere come Stranger Than Paradise (1984) e Down By Law, Abel Ferrara con Il cattivo tenente (1992), The Addiction (1995) ma anche la visionarietà dei primi successi di Tim Burton come Edward mani di forbice (1990), Sleepy Hollow (1999) e la nascita del fenomeno Quentin Tarantino. Il contesto culturale americano anni novanta conservava le linee guida dei protagonisti della scena culturale aprendosi tuttavia a un pubblico sempre più ampio attraverso diversi approcci all’arte di riferimento. In The Kids ciò che appare eloquente è che lo stesso Larry Clarke dimostra non solo di ignorare il mondo giovanile ma di averne una profonda disillusione: un paese come gli Stati Uniti fin dalla rivoluzione del 1968 ha trovato nei giovani una profonda spinta rivoluzionaria e creativa i cui risultati sono ancora oggi pietre miliari della cultura internazionale. Erano anni in cui i temi trattati da Larry Clarke venivano affrontati dalla Silver Factory di Andy Wharol in chiavi fortemente espressive: il forte uso di droghe, la pornografia e personaggi transgender compaiono attraverso diverse tipologie di opere non solo cinematografiche (si pensi a film come Blow Job – 1964 – e Kiss – 1963) ma anche musicali (come i Velvet Undergroud e l’intera psichedelia degli anni settanta). In The Kids non c’è nulla di tutto ciò.
E’ un film carico di un nichilismo fine a se stesso e autocompiacente incapace di andare oltre il proprio seminato per dar vita a una pellicola in cui gli stessi ragazzi delle periferie del mondo (non solo americane) non riescono più ad immedesimarsi per creare una visione comune.L’aspetto più controverso è che Clarke si fa carico di un messaggio involontariamente reazionario nel momento in cui si assume la responsabilità di dipingere i giovani americani del tutto privi di interessi e capaci solo di prevaricare il prossimo (come lo sverginatore seriale) facendo, di conseguenza, enormi passi indietro rispetto al suo lavoro da fotografo.
La sua raccolta fotografica intitolata Tulsa (dal nome della città dell’Oklahoma in cui Clarke è nato) si impose nella storia della fotografia come una raccolta di immagini …cariche di una feroce onestà! (Dick Chevenrton sul Detroit Free Press). Erano le immagini della sofferenza dei giovani del piccolo centro americano senza scivolare verso una facile retorica o un autocompiacimento fine a se stesso. Era un manifesto di giovani sofferenti ma combattivi!
In The Kids non solo questa forza identitaria manca ma rischia di far scivolare il centro della discussione verso una facile critica verso i cosiddetti giovani d’oggi.
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