Elenco blog personale

domenica 4 dicembre 2022

PILLOLE DI CINEMA - PALCOSCENICO (1937) di GREGORY LA CAVA - I sogni infranti di Broadway

 

Palcoscenico è uno degli esempi classici di commedia drammatica. Il soggetto è tratto da una pièce teatrale di Edna Ferber e George S. Kaufman sulla quale La Cava intervenne in modo decisivo creando il personaggio di Jean Maitland per affidarlo ad un indimenticabile Ginger Rogers. La Cava lascia ai propri attori libertà di improvvisazione per poterne sfruttarne al massimo le capacità recitative. Katharine Hepburn non è la sola diva presente nel film; tra le ragazze del pensionato pieno di giovani promesse del teatro (e forse del cinema) troviamo anche Lucille Ball (già attiva con registi del calibro di Frank Capra e John Ford)  e Andrea Leeds (già interprete di opere come Ambizione di Howard Hawks e Richard Rosson del 1936 e Nel mondo della luna   di William A. Seiter del 1936).

La Cava sfodera una regia magistrale grazie alla gestione delle scene corali in cui gli attori entrano ed escono dallo schermo con una delicata sincronia creando numerosi sviluppi narrativi all'interno della stessa inquadratura; inoltre i movimenti di macchina non solo erano innovativi per il cinema hollywoodiamo dell'epoca ma ancora oggi risultano efficaci e fanno di La Cava uno dei registi classici più sottovalutati di tutta la storia del cinema. 

 Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram

 
Claudio Suriani Filmmaker

 

24 HOUR PARTY PEOPLE (2002) DI MICHAEL WINTERBOTTON) - La scelta di Tony

Per capire bene la nostra storia partiamo da una data: 4 giugno 1976. In 24 hour party people di Michael Winterbottom se ne parla all'inizio: il protagonista Tony Wilson (Steve Coogan) voce narrante, racconta di quella serata in cui suonarono per la prima volta a Manchester, al Lesser Free Trade Hall, i Sex Pistols facendola coincidere con la data dell'inizio del Manchester sound, anche perché tra i pochi presenti al concerto ci sono alcuni dei protagonisti della scena musicale mancuniana degli anni a venire. 
 





Siamo quasi all'esplosione del punk, la ventata fresca che porta queste nuove band è un toccasana per i giovani inglesi stanchi di suoni triti e ritriti, dei lunghi tecnicismi, dei pantaloni a zampa, di capelloni e barbe lunghe. Arrivano i punks che riportano tutto all'essenziale e al minimo impegno nel saper e nel voler suonare... e tutto cambia. Non voglio fare il radicale come Tim Warren che sostiene che il r'n'r è morto nel '67 ucciso da Sgt.Pepper's, lo so, che il punk c'era già negli Stati Uniti, lo so delle garage band americane, dei Stooges e degli MC5, dei Velvet Underground e dei New York Dolls, dei Ramones e delle altre band newyorkesi del giro CBGB's e Max's Kansas City, ma è in Inghilterra che nascono le prime fanzines, nasce un (non) movimento e persino un modo di ballare.
Nella colonna sonora del film sono presenti appena tre classici del primo punk inglese, ci sono naturalmente i Sex Pistols con Anarchy in the Uk, ci sono i Clash con Janie Jones e i Buzzcocks (prima band punk di Manchester) con Ever fallen in love (with someone you shouldn't've) tutte band che Tony Wilson passa nel suo programma musicale televisivo. 
 
 
 
Poi decide che la sponsorizzazione televisiva non basta e si dà anche alla produzione e distribuzione delle nuove band di Manchester facendo nascere, insieme ad Alan Erasmus, la Factory Records (un omaggio a Warhol?) l'etichetta che cambierà...o devierà la storia della musica pop. Entrerà nel gioco come produttore anche Martin Hannett (nella sua lapide giganteggia la frase “produttore e creatore del Manchester sound”, per far capire che personaggio abbiamo di fronte) che il suo metodo di lavoro poco convenzionale di sperimentatore incallito e il suo amore per l'eroina ne fanno un tipo non proprio facile da gestire. La sua genialità e il suo atteggiamento da padre padrone dentro lo studio di registrazione lo porteranno ad essere odiato da alcuni musicisti, in alcuni casi pretenderà persino di essere accreditato come scrittore e compositore dei brani (e meno male che Wilson non ingaggiò...o non ci riusci'...gli Smiths ed i Fall, ve lo immaginate che casino sarebbe successo tra Hannett, Morrissey e Mark E. Smith?).
Qui lo possiamo sentire nel lavoro fatto con i Joy Division...e con Transmission e la sua famosa linea di basso martellante e ripetitiva, la batteria secca e veloce (la firma di Hannett) uno dei capisaldi di tutto il post punk, poi She's lost control sempre con il basso che guida tutto, le batterie con ritmi meccanici sovrapposte, la bellissima Atmosphere con quel ritmo tribale e i sintetizzatori con sonorità scure per poi aprirsi a suoni celestiali mentre la voce profonda di Ian Curtis canta non andartene in silenzio, non andartene ... quello che avrei voluto dirgli il 18 maggio del 1980 prima che decidesse di lasciare questa disgraziata terra...e infine Love will tear us apart con la struttura da normale (perfect) rock song dove il giro oramai inconfondibile di tastiera la fa da padrone. L'altra band del primo giro Factory presente nella colonna sonora sono i Durutti Column, qui con Otis, brano guidato dall'arpeggio di chitarra di Vini Reilly che insieme agli inserti di voce quasi in lontananza rendono l'atmosfera del brano rilassata e ultraterrena ... molto bella.
 

 
 

Poi tutto cambia. Ian Curtis muore ed i Joy Division diventeranno i New Order, faranno ballare tutto il mondo, venderanno milioni di dischi e apriranno la strada a una nuova scena (Manchester) di band come gli Happy Mondays di quei flashati dei fratelli Shaun e Paul Ryder. Nella pellicola si dà ampio spazio alle musiche e alle scorribande grottesche e divertenti dei fratelli Ryder, la loro musica è un cocktail di dance e funky bianco tutto shackerato con il post punk e servito ad una festa sballatissima. La festa sarebbe potuta esserci all'Hacendia (Fac 51) anche se li' è in tutti gli altri club aperti in quel periodo i giovani preferivano l'ecstasy all'alcool. La cultura del club, con l'esplosione dell'house e dell'acid house e il ruolo principale del dj sarà la nuova moda nei locali di Manchester, prima, e di tutto il mondo, poi.  Bella la scena finale dell'ultima serata dell'Hacendia, mentre il dj suona Hallelujah degli Happy Mondays in versione club mix (la dance anni '90 come sarebbe dovuta essere) Tony Wilson incita i giovani a saccheggiare tutta la strumentazione prima di lasciare il locale e non può non venire in mente il blackout di New York tra il 13 ed il 14 luglio del 1977, quando centinaia di ragazzi assaltarono i negozi di elettronica e rubarono mixer e giradischi che non avrebbero mai potuto permettersi. Si dice che la futura scena hip hop newyorkese nacque quella notte.

Martin Hannett morirà di infarto a soli 42 anni il 18 aprile del 1991 e la Factory chiuderà per fallimento nel 1992. E proprio in quegli anni inizierà in Inghilterra quel mega imbroglio del Britpop.

Ma si può dire che la popular music alla fine è sempre stata tutta una grande truffa e i Sex Pistols lo avevano capito bene.

 Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram

 
Massimo Fiore

 

IL FILM RITIRATO ... Frágil al Torino Film Festival e il caso Pedro Henrique....

 

Ritirato all'ultimo Torino Film Festival dallo stesso regista, Frágil è un film che cerca di rappresentare la libertà individuale attraverso uno stile di vita trasgressivo... L'inerzia del regista applicata durante il Torino Film Festival, dimostra tutta l'ingiustificata esaltazione di un personaggio totalmente convinto di avere un innato talento. Stringendo, Frágil è un prodotto underground che non aggiunge nulla né fa scalpore. Una regia eterogenea fine a sé stessa, che indispone quanto la futile protesta perpetrata dallo stesso Pedro Henrique. 

 


La protesta è il sale della democrazia. Pedro Henrique è tutto, fuorché l'ultimo baluardo di un progressismo che oramai non esiste più. La protesta contro la norma anti-rave attuata dal governo Meloni risulta vana, futile, svilendo completamente l'efficacia.

Più che una dimostranza, una pessima esibizione ed una totale mancanza di rispetto, verso una manifestazione composta da gente che lavora quasi ininterrottamente. Il caso Pedro Henrique.. ca va sans dire .....

Detto ciò, sotto il film ritirato dal TFF. ( Cliccare su "Guarda su Youtube")

 

Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram
 
Alessio Giuffrida


sabato 3 dicembre 2022

PILLOLE DI CINEMA - HEIMA; SIGUR ROS - Dalla meravigliosa terra d'Islanda

 
 
La turnè del 2006 dei Sigur Rós fu seguita dal regista canadese Dean DeBlois (conosciuto soprattutto per il suo cinema di animazione) e da tale collaborazione nacque Heima, uno dei documentari musicali più interessanti degli ultimi anni.
  
In questa serie di concerti in madre patria Dean DeBlois riesce a fondere a pieno il sound della band con la natura islandese caratterizzata da un gioco di luci talmente espressivo capace di dare all'opera un valore fortemente cinematografico. La natura psichedelicha del sound  dei Sigur Rós si sposa a pieno con lo spazio naturale nordico in cui i lunghi periodi di luce (e di buio) creano un atmosfera fuori dal tempo ed è per questo che la scuola cinematografica scandinava è, storicamente, una delle più importanti. 
 
Heima un opera dal valore contemplativo; è un percorso audiovisivo in cui il post/rock dei Sigur Rós arriva ad esprimere una laica spiritualità.

Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram
 
Claudio Suriani Filmmaker
 
 

venerdì 2 dicembre 2022

PILLOLE DI CINEMA - TETSUO II; BODY HAMMER - Gregor Samsa in chiave cyberpunk

 
 
 
Il secondo capitolo della saga di Tetsuo apporta cambiamenti decisivi all'interno del tessuto narrativo: Tsukamoto approfondisce la natura action dell'opera pur restando all'interno di un immaginario post-industriale caratteristico del Giappone del XX secolo. Questa trasformazione appare uniforme se consideriamo la saga  un'opera unica e non tre film a sé stanti; questa uniformità possiamo riscontrarla anche attraverso un montaggio frenetico che ben rappresenta non solo la società post-industriale ma, in generale, il ritmo interno delle metropoli.
Tetsuo II; Body Hammer è uno di quei film che se non lo si considera all'interno dell'estetica del suo autore, caratterizzata da un body horror di stampo cyberpunk, si rischia di non comprenderne a pieno il suo indiscusso valore in quanto il rapporto uomo-macchina si apre ad un desiderio di umanizzazione che non troverà speranza; è il perfetto punto di congiunzione tra una società post-industriale disumanizzante  e il desiderio umano di trovare, all'interno della stessa, una nuova condizione umana.

Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram
 
Claudio Suriani Filmmaker

OCCHIALI NERI (2022) DI DARIO ARGENTO - Il declino di un grande maestro.

Un autore cinematografico si differenzia dalla figura del regista mestierante grazie alla presenza di un estetica riconoscibile capace di influenzare in modo decisivo la storia del cinema e l’immaginario visivo; tuttavia, quando ci si affida a clishè di genere stereotipati con l’intento di realizzare il film che tutti si aspettano ecco che nasce opere come Occhiali neri.
 

 
 
Per chi ama il cinema e cerca di approfondirlo con un occhio critico capace di oltrepassare il mero giudizio di gusto Occhiali neri non può che rappresentare un profondo dolore; dolore nel vedere un regista dell’importanza di Dario Argento ormai stanco, privo di ogni desiderio creativo e capace di affidarsi a sentieri già percorsi allo scopo di portare a casa il risultato. Occhiali neri è del tutto privo di una struttura narrativa credibile e ci presenta personaggi sprovvisti della più minima caratterizzazione psicologica; se consideriamo il personaggio del serial killer (elemento cardine in ogni thriller che si rispetti) Dario Argento non ci fornisce alcun elemento né di carattere psicologico né di carattere storico/sociale (a differenza di opere cult come Non aprite quella porta, Il silenzio degli innocenti, Psycho e Halloween o opere contemporanee come La casa di Jack, The gangster, the cop, the devil, Lady vendetta, Seven o Saw; l’enigmista). 
 
 
 
Il cinema horror senza una sceneggiatura accurata rivolta ad un indagine dell’animo dei protagonisti non solo risulta stucchevole ma rischia persino di cadere nel ridicolo; quando emerge il movente da parte dell’assassino non solo non ho potuto fare a meno di ridere ma mi sono interrogato sul perché proseguire nella visione. Tuttavia l’approssimazione non riguarda solo la scrittura: il film è caratterizzato da una messa in scena del tutto insignificante, sequenze di dubbio gusto con dialoghi approssimativi con, per di più, grossolani errori di regia (come lo scavalcamento di campo nella sequenza della morte della poliziotta). Se è vero che ogni opera una volta conclusa vive di vita propria è anche vero che, proprio per tale peculiarità, non solo dialoga apertamente con i capolavori del genere che porta avanti ma si inserisce nel contesto storico/sociale in cui viene prodotta; se film come Non aprite quella porta o Psycho rappresentano appieno la morte del sogno americano data dallo scandalo Watergate e la nascita dell’orrore viscerale a causa della scoperta del caso di Ed Gein, un film come Occhiali neri si inserisce in un contesto come quello italiano del tutto privo di eventi di rottura di tale portata ed è anche per questo che presto cadrà nel dimenticatoio insieme a quasi la totalità delle produzioni RAI CINEMA.
 
 
Un ulteriore elemento che caratterizza il film è un citazionismo del tutto puerile che va da L’eclisse (Michelangelo Antonioni, 1962) a Il gatto a nove code dello stesso Dario Argento (1971); se nel capolavoro di Antonioni l’eclisse si manifestava come l’eclisse dei sentimenti e di una disumanizzazione dei rapporti umani in una società che si avviava verso il boom economico, la sequenza iniziale di Occhiali neri, in cui c’è una vera eclissi, non solo appare scollegata con il resto delle vicende narrate ma riesce a dare all’intera opera un profondo senso di pretenziosità in quanto questa chiave interpretativa non viene minimamente approfondita. Occhiali neri è un film del tutto evitabile perché getta fango sulla carriera di un autore importante del nostro cinema e impedisce al cinema indipendente di imporsi come alternativa al cinema meainstream. 
 
 Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram
 
Claudio Suriani Filmmaker

giovedì 1 dicembre 2022

PILLOLE DI CINEMA - TWIN PEAKS: FUOCO CAMMINA CON ME (1992) DI DAVID LYNCH - L'inconscio della provincia americana

 

Fuoco cammina con me rappresenta un atto di rivolta contro i meccanismi produttivi della televisione americana nonchè una vetta altissima di cinema sperimentale, un’indagine sull'inconscio umano e sul ruolo della nostra parte demoniaca nelle dinamiche quotidiane. Quali sono i meccanismi della nostra psiche? Lynch ci propone la sua lucida analisi  nella quale la parte ironica che animava la serie non trova più spazio a favore di un rapporto dialogico tra morte e bellezza, oscurità e luce, nani e giganti, amore e violenza.

Fuoco Cammina Con Me rifiuta la luce sia a livello visivo sia a livello concettuale;  Lynch sfrutta al massimo la forza dell'immagine filmica attraverso un accurata composizione dell'inquadratura satura di una teatralità fortemente espressiva (elemento ricorrente della sua filmografia) ed una colonna sonora in cui il perturbante arriva a travalicare l'immagine stessa.

   Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram
 
Claudio Suriani Filmmaker

mercoledì 30 novembre 2022

PILLOLE D CINEMA - INTERIORS (1978) DI WOODY ALLEN - Un omaggio a Ingmar Bergman

 
 
Interiors è un omaggio ad uno dei più grandi maestri del cinema e chiarisce, forse in modo definitivo, che non possono nascere grandi opere senza aver fatto proprio l'insegnamento dei grandi maestri. Woody Allen indaga l'animo delle protagoniste in modo talmente efficace da ricordare opere come Il posto delle fragole (1957) Come in uno specchio (1961) e naturalmente Il settimo sigillo (1957) e Persona (1966). Un altra caratteristica che lega Interiors al cinema di Bergman sono i rapporti familiari carichi di tensioni mai elaborate e, di conseguenza, pregni di una forza drammatica che ha fatto scuola per i registi contemporanei.
 
Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram
 
Claudio Suriani Filmmaker

lunedì 28 novembre 2022

PILLOLE DI CINEMA - PERSONAL SHOPPER (2016) DI OLIVIER ASSAYAS; La natura immateriale del cinema

 
 Gli studi psicoanalitici sul cinema creano da sempre analogie tra l'immagine filmica e le più importanti proiezioni figurative come Il sogno, il fantasma e il delirio allucinatorio. Personal Shopper è una riflessione sulla natura stessa del cinema; è un opera che si apre al lavoro elaborativo non solo della protagonista ma anche dello spettatore. Assayas mette in scena la continua ricerca di Maureen non solo del fratello defunto ma anche del senso della sua stessa vita che la vede incatenata ad un lavoro che odia e da cui si vorrebbe distaccare. Elaborare vuol dire tagliare creando del solchi talmente profondi da cambiarci del tutto, Personal Shopper è uno dei migliori film del XXI secolo e merita il premio come miglior regia al fetival di Cannes del 2016.
 
  Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram
 
Claudio Suriani Filmmaker
 

domenica 27 novembre 2022

PILLOLE DI CINEMA - UN ORA SOLA TI VORREI (2002) DI ALINA MARAZZI - Memorie famigliari

 
 
Una delle caratteristiche del capolavoro di Alina Marazzi è quella di riuscire a cogliere peculiarità storiche all'interno di immagini prodotte per la memoria privata. Questo elemento ci porta a comprendere quanto le nostre vite siano non solo interconnesse ma anche parte integrante di processi storici rilevanti e solo uno strumento come il cinema, mezzo espressivo tipicamente novecentesco, sia capace di rappresentarle. 
 
 Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram

 Claudio Suriani Filmmaker

BEGOTTEN (1991) di E.ELIAS MERHIGE. La nascita del tempo.

Begotten si presenta come opera seminale in quanto mette in scena l’esistenza prima della nascita del tempo e della storia (l’aura sanza tempo dantesca). Il silenzio che pervade l’intero film si pone come sorta di rumore primordiale che anticipa il tempo come creatore di linguaggi.
 
 
Tale aspetto propedeutico sembra collegarsi direttamente all’incipit della Bibbia e del Vangelo secondo Giovanni; nel primo paragrafo della Genesi si narrano i primi sette giorni della creazione in cui Dio creò dapprima il cielo e la terra, e in seguito la luce, il firmamento, il raccoglimento delle acque, germogli, erbe ed alberi da frutto, gli esseri viventi dei mari e della terra, fino ad arrivare al settimo giorno in cui Dio creò l’uomo. Inoltre, se consideriamo l’incipit del V.S. Giovanni (In principio era il Verbo, Il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio) possiamo considerare il linguaggio come causa fondante della storiorafia. Il tempo della creazione biblica non può essere analizzato da un punto di vista storico (come tutti i libri delle grandi religioni) ma in chiave simbolica o allegorica ed è da ciò che Begotten muove i suoi passi. Il film inizia con la scritta: Language bearers, photographers. Diary makers. You with your memory are dead frozen. Lostin a present that never spops passing. Here lives incantation of matter. A Language forever (Come una fiamma che brucia l’oscurità, la vita è carne su ossa che si agitano sulla terra); a questo punto inizia una sequenza che sembra legarsi direttamente ai primi due versi della Genesi: In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque; la massa informe descritta è rappresentata dal gioco di bianco e nero privo sia di sfumature sia di messa a fuoco; come se la creazione incompiuta della luce (elemento fondativo del cinema e della fotografia) sia rappresentata da una grezza impressione su pellicola. Begotten, riprendendo il discorso su Il verbo e ponendosi in una dimensione antecendente la storia, si pone anche al di fuori della conoscenza umana in assonanza con il verso del secondo paragrafo della Genesi: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti"
 
 
 
 
La mancata conoscenza impedisce all’uomo di far esperienza del mondo e della capacità di diventare ente creativo di storia: questa è la causa degli orrori del mondo non solo in chiave cristiana (la cacciata dal giardino dell’Eden e la successiva nascita di Caino e Abele come genesi dell’odio umano), ma accostabile anche in chiave pagana come il mito greco delle Erinni. Mettendo in relazione questo passaggio biblico con l’inizio di Begotten, se dalla parola di Dio nasce il giardino dell’Eden come principio di tutti gli eventi e della conoscenza, nel film di E. Elias Merhige vediamo un essere umanoide dalle sembianze indeterminate, aprirsi il ventre dalla quale uscirà ciò che in molte analisi è stata definita Madre natura; il giardino dell’Eden in forma antropomorfa. La nascita di Madre natura, intesa come nucleo generante della vita, comporta la nascita dell’uomo; tuttavia la nascita delle creature umanoidi avviene non attraverso un atto di unione carnale ma dalla masturbazione del cadavere di Dio (azione paragonabile all’evirazione di Urano da parte di suo figlio Crono); ciò portò alla nascita non di esseri umani carichi di una propria psicologia interna e creatori di storia.
 
 

Identificando Dio con La vita (come recita il versetto del V.S. Giovanni In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini) possiamo cogliere nel tempo messo in scena da Begotten una struttura circolare dove la morte appare in tutta la sua natura tragica accentuata, dal punto di vista visivo, da un bianco e nero violento del tutto privo di sfumature. Il cinema in Begotten arriva a mettere in scena un immagine mitologica perchè viene privata di legami con ogni passata esperienza figurativa. 
 
 Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram

 Claudio Suriani Filmmaker


PILLOLE DI CINEMA: SILS MARIA (2014) DI OLIVIER ASSAYAS - Una fusione tra arte e vita.

 

Sils Maria mette in scena un ventaglio di sentimenti contrapposti e speculari al tempo stesso: il rimpianto per il passato, la paura di sentimenti inconfessabili e l'amore per l'arte teatrale. Un ulteriore elemento di indiscusso valore è il forte omaggio alle caratteristiche peculiari del cinema nordico come l'isolamento delle protagoniste riscontrabile in Persona (Ingmar Bergman 1966) e Antichrist (Lars von Trier, 2009).

Sils Maria inoltre affronta la paura per un futuro ormai privo di prospettive chiedendo allo spettatore di farsi carico di sentimenti come il rimpianto che poco hanno a che fare con la dimensione dell'intrattenimento.

Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram

 Claudio Suriani Filmmaker


venerdì 25 novembre 2022

ELVIS (2022) DI BAZ LUHRMANN - La società dello spettacolo

Per analizzare un personaggio complesso come Elvis Presley attraverso l’occhio di Baz Luhrmann, regista conosciuto per il suo stile barocco al limite del ridondante, ritengo necessario partire da un presupposto di ordine generale: parlare di Elvis Presley vuol dire parlare del XX secolo e di quell’America che ormai aveva lasciato alle proprie spalle il secondo conflitto mondiale ma che si ritrovò a combattere contro il nemico interno della segregazione razziale.

Gli anni 50 furono un periodo storico ricco di contraddizioni ma anche saturo di una forza creativa i cui frutti si sentono ancora oggi in tutto il mondo. Tuttavia l’opera di Luhrmann ci descrive ciò che Guy Debord definì La società dello spettacolo. Ricorro alle linee guida di quest’importantissima opera filosofia in quanto la sua parabola rappresenta in modo determinante quel processo di mercificazione tipico della società contemporanea che ha come unico scopo la propria autolegittimazione. 

 

Elvis è un film in linea con lo stile registico di Luhrmann: fin dall’inizio cogliamo il filo rosso che lo collega a pellicole come Romeo + Giulietta di William Shakespeare (1996), Moulin Rouge! (2001) o Il grande Gatsby (2013) tuttavia, andando oltre l’analisi delle scelte formali di messa in scena, emergono diversi elementi dell’opera di Debord come la separazione delle immagini dalla vita, concetto presente nel capitolo La divisione perfetta. Quando Debord afferma che Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un'immensa accumulazione di spettacoli non solo chiarisce quanto dietro fenomeni della portata di Elvis Presley ci siano strutture economico-produttive capaci di sovrastare la forza creativa dell’artista di Menphis, ma arriva a definire i processi di autolegittimazione del mondo dello spettacolo capaci di influenzare la nostra più stretta vita politica ( e in Italia gli esempi non mancano…).

Il film sembra essere consapevole di tutto ciò in quanto cerca di andare oltre il seminato della narrazione classica; tuttavia dal punto di vista formale la tendenza ad aggiungere anziché ridurre fa correre al regista rischi di ordine strutturale e il più evidente è il ricalcare eccessivamente eventi trascurabili. Nella sequenza della prima esibizione di Elvis il pubblico femminile ha una reazione di eccitazione al limite dell’isterismo (in rete si trova la registrazione originale del concerto) che non può che strappare una risata allo spettatore. Nel momento in cui Debord afferma che lo spettacolo è una visione del mondo che si è oggettivata, sia la musica che il cinema smettono di parlarci del mondo e di farci aprire ad esso, per costruire un meccanismo autoreferenziale in cui emergono in modo decisivo i dettami del sistema economico capitalista. Questo aspetto coglie in pieno la parabola di Elvis Presley che da autentico animale da palcoscenico diventò prima un mediocre attore hollywoodiamo per finire nella lunghissima serie di esibizioni all’l' International Hotel di Las Vegas. Lo spettacolo diventa, al tempo stesso, il mezzo e il fine di se stesso. Una prima obiezione che si potrebbe portare è che il film di Luhrmann ci mostra non solo la forza creativa di Elvis ma anche il suo declino come artista e come uomo. Anche in questo caso ci viene incontro Debord ponendo al centro il concetto di feticismo della merce: in ogni forma espressiva il messaggio portante cambia attraverso il sistema economico sul quale è basata l’intera società che lo produce arrivando, nel capitalismo ad un feticcio.


Questo fenomeno ha creato una profonda contraddizione nella società contemporanea arrivando a celebrare il capitalismo anche in assenza di sovrabbondanza di beni la quale, in ogni caso, non ha liberato l’uomo dalla necessità sia del consumo che del lavoro divenuto anch’esso una merce. La parabola di Elvis Presley è un esempio di come uno dei fenomeni più importanti del XX secolo sia divenuto un fenomeno di mercificazione talmente radicale da influenzare l’intera industria dello spettacolo e il film di Luhrmann, nonostante riesca a raccontare in modo dettagliato gli eventi, non riesce tuttavia a cogliere tali contraddizioni di ordine concettuale. Il limite interno al film di Luhrmann è che si limita ad una narrazione di tipo lineare non riuscendo a cogliere i percorsi teorici delineati: Elvis da personaggio vedette concentrò su di se gli sguardi del mondo intero dimenticando di non essere altro che il portavoce di interessi opposti al proletariato … e non a caso era chiamato il re. Elvis di Baz Luhrmann è un ottimo film di intrattenimento (in fondo per molti il cinema non è altro che questo) e lo si guarda con interesse e senza annoiarsi; tuttavia se cerchiamo uno sguardo più profondo che sia capace di parlarci della contemporaneità attraverso scelte formali coerenti, la mia opinione è che in questo film, non lo troveremo.

 Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Instagram

 Claudio Suriani Filmmaker








PILLOLE DI CINEMA - EUROPA 51(1952) DI ROBERTO ROSSELLINI - Una ricerca dolorosa

 
 
Roberto Rossellini attraverso Germania anno 0 e Europa 51 realizza due opere dall'alto valore etico in cui, attraverso le vicende dei protagonisti, si interroga sul suo lavoro in epoca fascista e sul suo prendere coscienza dell'esser stato un regista di regime. La ricerca etica è sempre difficile e dolorosa e il tormento interiore dei protagonisti delle opere citate supera di gran lunga la trilogia della guerra antifascista in importanza storica e in valore etico e morale. Se Roma città aperta si è imposto a livello storico come manifesto del cinema antifascista, Europa 51 pone al centro il dover fare i conti con il proprio passato attraverso una ricerca difficile e dolorosa. Un cinema privo di ogni retorica capace di scavare nell'animo dei protagonisti sia dal punto di vista narrativo sia dal punto formale.
 
 Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Intagram

 Claudio Suriani Filmmaker

CENSOR (2021) DI PRANO BAILEY-BOND - Censura come fuga dal dolore

Uno degli aspetti determinanti della cultura occidentale è il meccanismo di rimozione in senso freudiano che si manifesta attraverso logiche politiche ed un sapere di tipo dualistico che divide nettamente il bene dal male. La cultura underground lavora da sempre sulla necessità di superare tale dualismo e sul bisogno di elaborare le proprie pulsioni fondamentali come il sesso o la paura; in questo scenario la censura si qualifica come azione inibitoria dei propri istinti primordiali.  

Censor, storia di Enid, impiegata presso l’ufficio statale per la censura cinematografica, è un film che affronta tale tematica attraverso diversi livelli interpretativi. Il primo indaga gli effetti dell’azione censoria sulle dinamiche psichiche dell’individuo mentre il secondo riguarda la storia del cinema e la sua tendenza alla rimozione dalla propria storia  numerose categorie filmiche, dalle opere grindhouse agli archivi famigliari fino alla pornografia (genere cinematografico presente già nell’epoca del muto) considerate opere prive di interesse sia culturale che economico/produttivo. In questo percorso il personaggio di Enid è esemplare: ha una vita tormentata dal dolore della scomparsa della sorella e da genitori che la dichiarano ufficialmente morta creando una frattura insanabile con i fantasmi del suo passato.


I traumi della sua vita si ripercuotono nel suo lavoro; ogni sequenza a cui applica il final cut non la abbandona mai del tutto diventando terreno fertile per il riapparire degli spettri del passato rendendola una figura femminile sgradevole in cui è difficile immedesimarsi. La natura altamente drammatica del suo personaggio è alimentata dalla grande prova attoriale di Niamh Algar che lavora su un perfetto confine tra il controllo delle sue nevrosi e l’immagine sobria e rassicurante della burocrate (che incarna la rilevanza storica che questa figura ha assunto dalla fine della seconda guerra mondiale). Enid non riuscendo a trovare conforto nei valori morali del suo lavoro cerca in quelle sequenze rimosse la chiave per elaborare i suoi demoni interiori. Censor è ambientato nell’Inghilterra degli anni 70, un periodo storico caratterizzato da dure lotte sociopolitiche e dalla guerra civile nell’Irlanda del nord; allo scenario appena descritto si aggiunge la memoria del sangue di una guerra civile spesso dimenticata che culminò nel Bloddy Sunday (30 gennaio 1972).


 
Nonostante Censor sia un opera che parla di cinema, la sala è la grande assente poichè l’universo home video riguarda la dimensione privata dello spettatore; se la sala è un luogo comunitario, la nostra dimensione privata esprime in modo diretto il nostro essere più profondo. Censor inoltre porta con sé un profondo amore per l’immagine analogica; sotto questo aspetto non solo è figlio dell’epoca che narra ma pone al centro della sua riflessione il bisogno di una raffigurazione coerente con le tematiche trattate dando alle sue immagini un gusto retrò carico di fascino. I tragici sviluppi delle vicende narrate ci mostrano in modo decisivo quanto lo spettatore necessiti di un’educazione alla visione e di come la censura abbia fallito i propri scopi specialmente nell’epoca delle tecnologie digitali.

 Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Intagram

 Claudio Suriani Filmmaker

 


PILLOLE DI CINEMA - PICNIC A HANGING ROCK (1975) DI PETER WEIR. La montagna del Purgatorio

 

 

L'immaginario dantesco è uno dei principi fondanti dell'intera narrativa cinematografica; in Picnic ad Hanging Rock notiamo come la scomparsa delle giovani ragazze si apra ad una dimensione simbolica che affonda le radici proprio nella Comedia dantesca. Picnic ad Hanging Rock ci pone tale interrogativo: in che modo possiamo comprendere la realtà se la stessa è zeppa di eventi inspiegabili? E' una domanda che ci riporta alla citazione Shakesperiana: C’è più mistero in terra che nella tua scienza.  Storie come Picnic ad Hanging Rock pongono l'uomo all'interno di un universo capace di divorarlo e, nonostante la sua fotografia lucente e priva di ombre, rende l'intera opera cupa e perturbante chiarendo che la natura del cinema non è nell' immagine ma nell' idea che la anima.

Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Intagram

 

Claudio Suriani Filmmaker

giovedì 24 novembre 2022

PILLOLE DI CINEMA - YASUJIRO OZU; BREVE RICORDO DI UN GRANDE MAESTRO



Il cinema di Yasujirō Ozu è un grande atto d'amore per il Giappone e la sua cultura millenaria; attraverso la rappresentazione delle dinamiche famigliari Ozu esprime una cura profonda per la vita (nella sua più ampia concezione) individuando il suo potenziale nelle dinamiche quotidiane nonostante agli occhi di un occidentale possano sembrare elementi privi di importanza. Attraverso la rappresentazione degli spazi interni Ozu mette in scena la storia intesa sia come vissuto individuale sia come appartenenza ad una comunità in cui un evento come il matrimonio non è (solo) una questione privata ma rappresenta il passaggio ad una dimensione pubblica in una società in cui risuonano ancora gli echi della guerra. Il cinema in Ozu non ha bisogno di movimenti di macchina spettacolari o di eccetrici virtuosismi; nella composizione dell'immagine e nel suo pieno controllo vivono storie immortali.
 
 Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Intagram
 
Claudio Suriani Filmmaker

ANATOMIA DEL FUTURO; Uno sguardo critico a Crimes of the future di David Cronenberg, 2022

 Mireille Suzanne Francette Porte, in arte Orlan, dal 1986 al 1993 si sottopose ad una serie di operazioni chirurgiche documentate e presentandole come performance artistiche. E' solo uno dei tanti esempi di quel filone dell'arte concettuale conosciuto come body art, che comprende anche il tatuaggio e il body piercing ampiamente e trasversalmente diffusi. Cronenberg ne trae spunto e lo inserisce all'interno del suo percorso tematico…ed è una deflagrazione del pensiero. In fondo le domande si ripetono uguali a se stesse nel suo cinema, ma declinate ogni volta in modo tale da perlustrarne segmenti inediti, facendo emergere in primissimo piano un aspetto, la possibilità magari di rimodulare la domanda.

Non amo parlare di generi e non non lo farò neppure questa volta.

  

Cosa ossessiona Cronenberg? Il corpo, certo...ma il corpo commisto a tecnica, scienza e politica, con continui riferimenti anche all'arte. Dobbiamo a Michel Foucault aver portato avanti studi importanti sulla Biopolitica, cioè semplicemente la politica contemporanea, in cui ciò che è in discussione e ben dissimulato, è il vivere, il lasciar morire, dare la morte, in altre parole, il controllo dei corpi. Come ci mostrò magistralmente Kubrick, l'ominazione inizia quando l'antropoide comprende che con quel femore con cui sta giocherellando può accrescere la potenza del suo braccio e impadronirsi della pozza d'acqua. Tecnogenesi ed antropogenesi coincidono. Quel femore viene lanciato in aria, gira, gira, ed è già un'astronave( 2001; odissea nello spazio, 1968), ma anche la bomba (Il dott. Stranamore, 1964). 

 

Quando parliamo di arte (e Cronemberg ne parla anche a proposito del cinema...uno scivolone che gli perdoniamo volentieri) dobbiamo ricordarci che è un concetto moderno, nato nel rinascimento e che con tutta probabilità, con buona pace del mondo dell'arte ha esaurito il suo ruolo storico. Noi parliamo di arte, di tecnica, ma i greci avevano una sola parola per dire entrambe: thècne, ma ne avevano invece almeno due per dire la vita, Bìos, vita qualificata, intimamente politica, e Zoé, nuda vita, carne mortale, vendibile e sacrificabile. Ora...cos'é umano? Questa è la domanda del secondo Crimes of the future, quello del 2022. Come non pensare a due film straordinari, quelli che ci cambiano la vita. Usciti dalla sala, dopo aver visto Blade Runner (Ridley Scott, 1982) come si può essere ancora le stesse persone? Il famoso replicante di E' tempo di morire.., una volta catturato dall'agente che deve eliminarli tutti, un blade runner, appunto, a cui ha opposto forza e intelligenza, sceglie di morire. E' già un uomo. L'altro film è Non lasciarmi (Mark Romanek, 2010). Ragazzi (cloni..) cresciuti ed istruiti solo per poter espiantare loro gli organi una volta adulti. Al terzo espianto si muore...si è completato il ciclo.

Molte malattie scompaiono in virtù di tali pratiche...vogliamo chiamarlo progresso?

Ora, a Cronenberg interessa tutto questo. Come cambiano la qualità e le prestazioni della nostra sensibilità al progredire della tecnologia con la quale da sempre abbiamo a che fare e che negli ultimi anni ha innestato marce inedite imprimendo un' accellerazione dei suoi processi e delle sue commistioni che non si era mai vista prima? E la scienza? Dove può fermarsi? Su quale soglia? Abbiamo detto che Crimes of the future del 2022 è il secondo, perché il primo, esattamente con lo stesso titolo, è del 1970, sempre di Cronenberg. Fin'ora ci si è limitati a dire che non è un remake. Lo liquidiamo così? No, vediamo un po' se ci ha voluto dire qualcosa. Il Crimes of the future del '70 finisce con il primo piano di una bambina (impossibile non pensare a Mondrian nell'allestimento scenografico del film) illesa dopo aver portato alla bocca una misteriosa e densa schiuma bianca, che è risultata tossica per tutti gli altri, nella clinica House of Skin del dott.Tripod, nella quale si combatte per tentare, tra auto-asportazioni di organi e tessuti, cavie umane, aberranti pratiche sessuali, di arrestare un virus letale originato dallo smodato uso di cosmetici.


Il secondo Crimes si apre invece con un bambino, un bel bambino con le guance paffute che gioca nell'acqua vicino ad un un grande relitto. Sarà soffocato nel sonno dalla propria madre la sera stessa, colpevole di essersi mangiato un secchio per i rifiuti...si, proprio il secchio di plastica, e averlo digerito tranquillamente. I colori brillanti di Crash (1996), di Cosmopolis, (2012) tornano ad essere cupi...gotici. Lo spazio là fuori non è più quello della città generica, uguale in ogni continente, sembrano rovine generiche piuttosto, ma non sappiamo perché.

Questa la storia: due artisti, meglio performers, Viggo Mortensen (Saul Tenser) e Léa Seydoux (Caprice, ricordiamo la sua splendida interpretazione di Emma ne La vita di Adele, Abdellatif Kechiche, 2013) si esibiscono in coppia. Il primo produce nuovi organi (tumori?) che vengono tatuati nel suo corpo per poi essere espiantati nelle loro esibizioni dalla partner, chirurga performer, grazie a una macchina che serviva un tempo per fare le autopsie.

Se la nuova clandestinità consiste nel creare un registro nazionale degli organi (perché c'è una mutazione in corso di cui non si parla ufficialmente) il poliziotto di turno, Kristen Stewart (Timling) indaga su bande di ricercatori che lavorano affinché le prossime generazioni siano in grado di far fronte alla carenza di cibo e possano alimentarsi di ciò che abbonda anziché di ciò che scarseggia, guardate un po': la plastica! Il bambino che abbiamo incontrato in apertura del film si chiama Breken...rotto. Cos'ha di rotto? La biologia. La madre l'ha concepito e portato in grembo con questa mutazione trasmessa ai suoi geni dal padre che lavora da tempo alla produzione di cibo sintetico. La madre lo uccide perché per lei è una cosa...una cosa.

Ed ecco la domanda: che cos'é umano?

  

Il finale é strepitoso, di quelli che ci piacciono. L'infiltrato Saul si convince ad ingerire una tavoletta di cibo sintetico, tossico per i più, e non capiamo se si é convertito alla causa della banda o lo fa per portare avanti la produzione di tumori. Questi personaggi sono circondati da macchine senza le quali non sarebbe possibile esibirsi, dormire, mangiare. La macchina non è fuori, é il corpo stesso di Saul. Il dolore é bandito, é una civiltà anestetizzata, ma si può inseguire con le macchine: é il nuovo sesso. Quando Saul addenta, mastica, ingerisce una barretta sintetica é avvolto in una di queste che respira ad ogni suo respiro.

C'é a questo punto un avanzamento della macchina da presa, un primissimo piano, il colore defluisce dallo schermo. La macchina respirante si ferma, Saul sorride, una lacrima solca le sue guance. Nel Crimes del 1970 la bambina é illesa, ma dagli occhi del dottor. Tripod di fronte a lei, dopo aver ingerito la medesima sostanza, scendono lacrime viola. L'antropogenesi procede per salti. Uno l'abbiamo sotto i nostri occhi: sono i nativi digitali. Qual'é la sorte di Saul? Perché la macchina si é fermata? Sta morendo? Si é compiuta una mutazione del suo DNA? La ricchezza di senso nei conti che non si chiudono é la cifra di un film riuscito. Ad noi tutt* le risposte e la formulazione di nuove domande.

Se l'articolo ti è piaciuto iscriviti al nostro blog e seguici su Facebook e Intagram

Giusy Catapiani

nata a Viareggio il 19-03-1960

Filosofa, allieva di Pietro Montani 

Regista

Collabora con Cinepeep come redattrice e corretrice di bozze


ISCRIVITI AL NOSTRO BLOG (CLICCA SU SEGUI) - Resterete aggiornati sulle prossime pubblicazioni.

I NOSTRI ARTICOLI

THE SUBSTANCE (2024) DI CORALIE FARGEAT. Un Freaks Show non convincente

       Continua l’indagine sulla mutazione dei corpi. Da Crimes of the Future (David Cronenberg, 2022) e il precedente Titane (Julia Duc...