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venerdì 16 dicembre 2022

LA VITA DI ADELE (2013) DI ABDELLATIF KECHICHE - La forza penetrante dello sguardo


 La vita di Adele (Abdellatif Kechiche, 2013), ispirato alla grafic novel Il blu è un colore caldo ( Jul' Maroh, 2010) è la storia di una giovane ragazza che apre il suo cuore a nuove emozioni innamorandosi di Emma, più grande di lei. Nonostante sia divenuto negli anni un film simbolo della comunità LGBTQR ritengo che tale interpretazione sia errata in quanto il film narra il puro atto dell’innamoramento e non la scoperta della propria identità sessuale a differenza di film come Pride (Matthew Warchus, 2014) o Milk (Gus Van Sant, 2009). Uno dei suoi aspetti cardine è la forza penetrante dello sguardo incrociato delle protagoniste

 

 

Nell’approcciarsi a un’opera può succedere che il desiderio di analizzare ogni suo aspetto  ci faccia perdere di vista l’impatto emozionale della prima visione. L'approccio analitico/interpretativo infatti dev'essere conquistato attraverso la reiterazione in quanto il buio della sala ci pone in una condizione passiva dando vita a una serie di processi psicoanalitici teorizzati da autori come Cristian Metz, Alberto Angelini, Robert Stam e Maria Grazia Vassallo Torrigiani.

Il primo incontro tra Adele ed Emma mette in scena una dinamica assimilabile al capolavoro di Luchino Visconti Ossessione (1943): l’identificazione delle protagoniste ha inizio dallo sguardo inquadrato in primo piano e in questa doppia immedesimazione il cinema si carica dello sguardo del regista, delle protagoniste e dello spettatore. Questo triplo legame è determinante, ci spinge a riflettere sul concetto di verità nel cinema: uno sguardo rubato è capace di cambiare la vita delle protagoniste, il cinema esprime la forza di raccontare storie attraverso  singoli fotogrammi, è l’arte del hic et nunc. La vita di Adele dal punto di vista stilistico è il punto di congiunzione di alcune delle opere più significative  degli ultimi anni in particolare La classe (Laurent Cantet, 2008) e Lussuria (Ang Lee, 2007): Kechiche riesce a creare un perfetto legame estetico/narrativo ma anche una sorta di realismo visivo. Il film segue le vicende di Adele inizialmente nel suo periodo di formazione ed infine nel dolore per l’abbandono di Emma. Non esiste alcuna sovrastruttura estetica, nessun occhio morboso nelle scene erotiche: questo risultato è stato raggiunto grazie ad una direzione delle attrici rivolta a consumare ogni forma di resistenza attraverso innumerevoli ciack in particolar modo nelle sequenze più compromettenti dal punto di vista emotivo. Nonostante tale regia tirannica sia stata ampiamente criticata dalle attrici (per motivi tuttavia discutibili) è fuori dubbio che il risultato sullo schermo è incredibile in quanto la forza drammatica riesce a coinvolgere totalmente lo spettatore dando alla pellicola la stessa forza  della graphic novel.

  

La struttura è costruita attraverso un'ellissi temporale che divide il film in due parti: adolescenza di Adele e la sua vita adulta  tra insegnamento e  convivenza con Emma. Non ci è dato sapere se tra le due parti del film siano accaduti eventi determinanti, ciò che vediamo è un importante cambio di direzione delle protagoniste che le porta a trasformare la natura stessa del loro rapporto. Abbiamo visto come il film ci narri del puro atto dell’innamoramento: la rottura tra Emma ed Adele invece non risulta coerente con il racconto e ci porta quasi a tifare per la seconda. Seguendo questa impronta  il finale ci appare carico di una sottile crudeltà in quando l'ostentata indifferenza del congedo di  Emma ci arriva più dura di un sincero e sentito rifiuto. Nonostante queste, in fondo perdonabili, perplessità di struttura, La vita di Adele rimane un'opera capace di raccontare  senza inutili divagazioni ed è questo il suo maggior punto di forza.

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 Claudio Suriani Filmmaker


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