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martedì 7 febbraio 2023

FREAKS OUT (2021) DI GABRIELE MAINETTI - La memoria perduta

 

Freaks Out narra le vicende di un gruppo di fenomeni da circo durante l’occupazione nazista di Roma e porta con sé numerosi interrogativi che necessitano di essere contestualizzati. Gabriele Mainetti lavora su una zona di confine tra universo fiabesco e gli orrori della seconda guerra mondiale, approccio che Roberto Benigni portò avanti con La vita è bella ma che lui sviluppa ulteriormente con risultati migliori dal punto di vista visivo ma ugualmente poveri da un punto di vista contenutistico.


Un primo aspetto di carattere generale è che Freaks Out è un opera di corto respiro: il cinema degli ultimi anni ha prodotto numerose opere ambientate nel mondo circense come The greatest showman del (2017) Big Fish, Le storie di una vita incredibile (Tim Burton, 2003) Mirror Mask (Dave McKean, 2005) e Dumbo (Tim Burton 2019) senza dimenticare i classici come Il circo (Charlie Chaplin, 1928) e La strada (Federico Fellini, 1954) oltre a serie tv di alto valore come Carnivale (HBO, 2013). In Freaks Out la caratterizzazione dei personaggi resta legata a doppia mandata all’anima popolare delle strade di Roma  a differenza delle opere citate che si sono imposte nella storia del cinema come capolavori del genere circus grazie alla loro capacità di narrare storie universali. Questo è un aspetto riscontrato molte volte nelle produzioni RAICINEMA: nel produrre opere che fin dalla loro uscita mirano ai passaggi televisivi in prima serata si arriva a mettere in scena un film per famiglie de tutto privo di incisività (a differenza del fascino perverso di Freaks di Tod Browning). 

 L’aspetto tuttavia più complesso è la rappresentazione della questione ebraica. In Freaks Out la fiaba tende a fagocitare il tema della memoria storica rendendola quasi un’appendice. Mainetti sembra dimenticare (o peggio non conoscere) l’analisi di Serge Daney del film Kapò (G. Ponecorvo, 1960): l’opera di Pontecorco ci dimostra, come scrisse Daney, che Non ci si deve mai mettere dove non si è, né parlare al posto degli altri. La questione ebraica in Freaks Out resta una tematica di contorno del tutto secondaria rispetto alle vicende dei protagonisti e questo è un aspetto della massima importanza non solo perché è un punto cardine per gran parte della critica contemporanea (si pensi al  rapporto che esiste tra opere come Nuit et brouillard di Alain Resnair, Shoah di Claude Lanzmann e L’Histoire(s) Dù Cinemà  di J.L.Godard) ma porta con sé la capacità di dare valore testimoniale alle immagini per rendere giustizia alle vittime non solo della Shoah ma anche degli orrori contemporanei. Questa debolezza strutturale rende Freaks out un film adatto alle prime serate in famiglia ma che toglie a Gabriele Mainetti una forte marca autoriale e la capacità di ritagliarsi un posto all’interno del panorama del cinema italiano e internazionale (e in questo risulta un forte passo indietro rispetto a Lo chiamavano Jeeg Robot) perché il paragone con i capolavori del genere circus sono inevitabili e come abbiamo visto non regge il confronto.

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Claudio Suriani Filmmaker

 

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