Annette è figlio della rinascita del musical degli anni 2000 che vede tra le proprie fila opere come The Greatest Showman (Michael Gracey, 2017), La La Land (Damien Chazelle, 2016), Chicago (Rob Marshall, 2002), Moulin Rouge! (Baz Luhrmann, 2001) e molti altri di indiscusso valore…si…ma Leos Carax viene da un film come Holy Motors in cui emerge una marcata linea autoriale… possiamo supporre quindi che Annette si distanzi dal musical classico? Vediamo… Il primo aspetto è una scrittura caratterizzata da una volontà di velare piuttosto che di narrare. In diversi passaggi chiave i protagonisti fuggono dallo sviluppo conseguenziale degli eventi senza creare il fascino del mistero; se durante i suoi spettacoli Adam è incalzato dal pubblico con la domanda Perché sei diventato comico? è per creare una forma di spettacolo interno al film e non per portare avanti la narrazione in modo causale; emerge inoltre un vincolo che lega in modo diretto il pubblico degli spettacoli e noi spettatori. La nostra chiamata in causa è centrale in Annete in quanto ci spinge a creare un rapporto enigmatico (attraverso il prologo in cui Carax si rivolge direttamente a noi chiamandoci ad un surplus di attenzione) con il pubblico degli spettacoli di Henry (non di Ann in quanto il mondo della lirica non prevede un’interazione con il pubblico). Questa fusione ci permette di implementare la forza drammatica delle vicende perché lo sguardo fuori campo diventa capace di dare ad un genere ben strutturato come il musical un forte tocco di modernità.
Annete è caratterizzato dal legame con il mondo della drammaturgia attraverso un ulteriore elemento formale prettamente cinematografico: il piano sequenza (PS). Nonostante le teorie classiche del cinema teorizzarono il PS come un possibile mezzo per rappresentare la realtà (termine che oggi necessita di un radicale approfondimento) in quanto appartenente al découpage classico (insieme alla profondità di campo) la storia del cinema ci mostra come molte delle opere cinematografiche più innovative non solo abbiano lavorato su questo mezzo espressivo anche nella più stretta contemporaneità come Aleksandr Sokurov in Arca russa (2002), Gustavo Hernandèz con La casa muta (2012), Alfonso Cuaron con Gravity (2013) e il cinese Bi Gan con Un viaggio lungo una notte (2018) ma ad oggi il découpage classico è una struttura formale ormai del tutto sorpassata dalle nuove tecnologie grazie alle quali l’atto di filmare diventato parte integrante della società contemporanea. La realtà del piano sequenza in Annete ci mostra un’opera carica di due echi contrapposti: la classicità della lirica incarnata da Ann e la modernità degli spettacoli comici di Henry in cui il rapporto dialettico tra attore e pubblico si esprime anche attraverso le nuove tecnologie, aspetto chiave in cui si materializza l’intermedialità dell’opera di Carax.
Annette nel suo ultimo spettacolo (quello che doveva sancire il suo abbandono delle scene) appare non solo in diversi smartphone e tablet ma la sequenza termina dietro uno schermo che, a differenza dei primi spettacoli del padre, la separa non solo dal pubblico ma anche da noi spettatori. Se la tecnica diviene una barriera che si frappone tra noi e l’immedesimazione nei personaggi, questo è ancor più vero nel caso della nostra protagonista. Inoltre, a differenza di La doppia vita di Veronica (Krzysztof Kieślowski, 1991) il suo essere marionetta per quasi l’intero film non sembra rifarsi alla grande tradizione del teatro delle marionette ma esprime l’utilizzo della tecnica come mezzo espressivo tipico del cinema contemporaneo. Nel far riemergere la voce della madre attraverso un carillon e il suo gioco di luci Annette, personaggio al limite tra tecnica e autodeterminazione, diviene il nodo focale attorno al quale ruota la svolta decisiva del film. Il personaggio di Annette è saturo di un legame innaturale con il mondo esterno portandola ad un desiderio di emancipazione che non potrà mai compiersi del tutto; dopo la sua rivincita nei confronti del padre Annette torna ad essere una marionetta … ormai abbandonata da tutti.
Nonostante il suo personaggio possa rimandare alle grandi marionette della storia del cinema è necessario ricordare che il topos narrativo dell’animazione dell’inanimato rievoca in modo diretto non solo i classici dell’horror ma l’intero universo perturbante come le opere iconiche Eva futura (del 1886) o Frankenstein (o il Prometeo Moderno, 1816-1817) fino al grande cinema muto tedesco con opere come Homunculus (1916) di Otto Rippert, poi con le due versioni del Golem (1914 e 1920) di Paul Wegener; con lo sberleffo di Ernst Lubitsch con Bambola di carne (Die Puppe, 1919); con Metropolis ( Fritz Lang, 1927).
Annette di Leos Carax nonostante lavori su diversi piani interpretativi riesce ad infondere allo spettatore un senso di inquietudine allo stesso tempo profondo e inafferrabile ed è su questo topos narrativo che l’intero cinema di Carax muove i suoi aspetti più interessanti.
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