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mercoledì 8 febbraio 2023

TITANE (2021) DI JULIA DUCOURNAU - RIPENSARE IL RUOLO DEI FESTIVAL

Nell’approcciarmi all’analisi di Titane, film vincitore della palma d’oro al festival di Cannes del 2021, ritengo necessario porre una domanda preliminare: qual è il ruolo dei festival del cinema? Come dovrebbero contribuire alla riflessione estetica rassegne come Cannes, Venezia e Berlino? E’ una domanda centrale per analizzare uno dei quesiti fondamentali che il film della Ducournau ha suscitato nel mondo della critica. 

 Titane narra le vicende di Alexia a cui  da bambina, a causa di un grave incidente, venne impiantata una placca di titanio in testa che la porterà in età adulta a sviluppare un rapporto feticistico con le auto. Il primo aspetto che balza agli occhi è il rapporto di ibridazione tra uomo e macchina. Ripercorrendo la storia del cinema notiamo che è un topos narrativo fin dai tempi di Metropolis (Fritz Lang, 1927) fino ad imporsi nel cinema contemporaneo attraverso autori come Shin'ya Tsukamoto con il suo manifesto Tetsuo (1989) David Cronemberg attraverso Crash e Videodrome (rispettivamente 1995 e 1983) opere talmente pregnanti  di significato da riuscire ad ampliare la portata del proprio messaggio nella sua declinazione digitale come in Ex Machina (Alex Garland ,2015),  E.R. intelligenza artificiale ( Steven Spielberg, 2011) oppure il capolavoro 2001, odissea nello spazio (Stankey Kubrick, 1968) in cui il rapporto con la tecnica si manifesta attraverso la nascita della stessa (come nella sequenza del primate che scopre i vari utilizzi dell’osso). A questo punto è necessario tornare alla domanda iniziale e chiederci se un film come Titane aveva la forza per imporsi nel festival di Cannes, soprattutto se pensiamo che la palma d’oro è un premio vinto da alcuni dei più grandi registi di tutti i tempi con opere che hanno creato un immaginario cinematografico moderno altamente rivoluzionario tra cui Viridiana (Louis Bunuel, 1961) Miracolo  a Milano (Vittorio de Sica, 1951) Il caso Mattei (Francesco Rosi, 1972) La conversazione e Apocalypse Now (Francis  Ford Coppola, rispettivamente 1974 e 1979) e mi fermo qui perché l’elenco sarebbe lunghissimo. Titane è un film che ha una sua dignità e che si inserisce in questo sotto-genere cinematografico ma nel momento in cui approda alle vette della cinematografia internazionale perde di credibilità in quanto è un’opera che non aggiunge nulla alla riflessione teorico/estetica sull’arte cinematografica. Le altre tematiche come la gravidanza, la sessualità fluida, il titanio come simbolo  della perdita di umanità riescono a essere carichi di un  politically correct che non può sposarsi con uno shock movie con ambizioni autoriali; paradossalmente il suo film precedente (Raw; una crudele verità, 2016) risultava essere molto più efficace perché nel suo essere altamente violento riusciva a conservare forti tratti di autenticità e di libera espressione di idee. Titane si muove su un equilibrio precario tra immaginario horror shock e desiderio di accedere all’olimpo del cinema d’autore fallendo tuttavia in entrambe le aspirazioni in quanto la storia del cinema ha dimostrato che l’immaginario horror shock percorre strade diverse da quelle dei grandi maestri e proprio attraverso questa libera espressione di sé  tali opere continuano a essere amate e a influenzare il cinema contemporaneo ( si pensi al capolavoro di Tobe Hooper The Texas Chain Saw MassacreNon aprite quella porta del 1974 e agli innumerevoli sequel e remake che ha avuto nel corso degli anni). 

 


Un altro punto di forte debolezza del film è la volontà dichiarata della regista di attribuire alle donne una sorta di dignità nella violenza emancipandole dal ruolo di vittime; attribuire alla mera violenza una sorta di rivincita sociale non solo tende ad affrontare tale tematica con profonda ingenuità ma arriva a rendere pedante un cinema che non si è mai fatto portatore di facili moralismi. La notte dei morti viventi di George Romero (1968) si inserì nella lotta per i diritti civili degli afroamericani e nel suo denunciare il razzismo dell’uomo bianco non arriva mai a essere retorico o demagogico. Avere un’autorialità forte e riconoscibile richiede il coraggio di percorrere strade inesplorate e Julia Ducournau con il suo Titane fallisce tale sfida.

 

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Claudio Suriani Filmmaker

 

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