Misticismo, seduzione e un profondo desiderio carnale.
Paul Verhoeven narra così le vicende di Benedetta Carlini basandosi sull’opera di Judith Brown Atti impudici (Torino, Il Saggiatore, 1987) in cui i temi della religiosità, la passione erotica e il lesbismo emergono in modo decisivo creando una profonda tensione narrativa. Fin dalla sua uscita Benedetta è stato messo in relazione con Elle (2016) per due tematiche principali: l’analisi dei desideri delle protagoniste espressi attraverso una dialettica tra dominio e sudditanza e la ricerca di un racconto autobiografico rivolto alla descrizione di una personalità complessa come quella di Benedetta Carlini. La storia del cinema, nell’epoca dei grandi colossal, ha prodotto importanti pellicole sulla cristianità come La Più grande storia mai raccontata (George Stevens, 1965), Re dei re e I dieci comandamenti (Cecil de Mille rispettivamente del 1927 e del 1956) fino alla rivisitazione pasoliniana de Il vangelo secondo Matteo (1964) l’universo grottesco di Totò che visse due volte (Ciprì & Maresco, 1998) fino a una serie di opere caratterizzate da una trascendenza post-cristiana capaci di inglobare nella propria analisi la perdita della fede come elemento di ricerca; le opere più importanti in questo senso sono Diario di un curato di campagna (Robert Bresson, 1950), Ordet (Carl Theodor Dreyer, 1955) La ricotta (P. P. Pasolini, 1963) e Luci d’inverno (Ingmar Bergman, 1963). Se le opere citate affrontano la crisi della religiosità classica da un punto di vista filosofico Verhoeven narra l’universo delle monache teatine attraverso il rapporto fra trascendenza e carnalità in cui la statua della Vergine Maria viene usata come strumento sessuale o la rappresentazione del Cristo come puro oggetto del desiderio della protagonista. Nonostante le vicende della Badessa Carlini si prestino ad una visione blasfema della cristianità, questa irriverenza viene mitigata non solo dallo stile classico della narrazione ma soprattutto dal fatto che dopo il già citato Totò che visse due volte, opera definita per la prima volta vietata a tutti, è stata storicizzata ogni forma di rappresentazione sacrilega della cristianità.
Oggi nulla può più scandalizzarci.
Inoltre è stato ipotizzato che la rappresentazione dell’amore saffico all’interno di un convento sia un mezzo per solleticare le fantasie maschili (e forse non solo) in quanto figlie di certi b-movie come Il diavolo in convento (Mario Amendola, 1981) o L’altro inferno (Bruno Mattei, 1981) considerazione che appare in tutta la sua fragilità perché l’universo monastico è presente anche in opere d’autore come Spostamenti progressivi del piacere (Alain Grillet, 1974) ma anche perché l’amore lesbico è stato del tutto sdoganato non solo dal cinema ma anche dalla serialità televisiva. Paul Verhoeven nella sua carriera ha dimostrato di essersi emancipato dal meainstrem come Robocop e Basic Instinct (rispettivamente del 1987 e del 1992) grazie a Elle (2016) in cui traspare non solo una grande cura per la scrittura ma soprattutto una maggiore libertà stilistica. Tuttavia se come disse Jean-Luc Godard Ogni film è politico in Benedetta ciò si declina in una riflessione sul ruolo del cinema narrativo nella società contemporanea (e la tecnica che la contraddistingue) capace di raccontare storie ma non di cogliere la natura dell’immagine digitale.
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